Il territorio agrigentino è stato abitato fin dalla preistoria, come dimostrano le testimonianze riferibili all'età del rame e del bronzo, individuate nelle immediate vicinanze della città attuale. La nascita della polis è legata allo sviluppo della polis Gela, infatti la città fu fondata nel 581 a.C. da alcuni abitanti di Gela, originari delle isole di Rodi e di Creta, col nome di Akragas, dall'omonimo fiume che bagna il territorio. La fondazione di questa polis nasce dalla necessità che avvertirono i Geloi (antichi gelesi), circa cinquant'anni dopo la fondazione della colonia megarese di Selinunte, di arginare l'espansione di questa verso est; scelsero perciò di collocare la città tra i fiumi Himeras e Halykos, e le diedero il nome del fiume presso il quale sorse il centro urbano, al quale la collocazione tra i due fiumi e a circa 4 chilometri dal mare dava "tutti i vantaggi di una città marittima" (Polibio). La fondazione di Akragas, isolata su una costa non così visitata da Greci come quella orientale, presuppone una larga frequentazione di quell'area, abitata da Sicani, da parte di navigatori egei ed una favorevole disposizione dei potenti sicani verso i Greci. Lo sviluppo di Gela e di Akragas, colonie di Greci dotati di lunga esperienza marittima, è dipeso soprattutto dalla ricca produzione agricola, specialmente cerealicola, di un territorio le cui estese pianure favorivano anche l'allevamento dei cavalli; ed il nerbo dei loro eserciti era di fatti la cavalleria, specialità militare tipica delle aristocrazie greche. Ma la prossimità a grandi vie marine era per loro un'esigenza vitale, come per tutte le colonie greche, a cui la navigazione assicurava la continuità dei contatti con la madrepatria e l'incremento degli scambi commerciali, ed equilibrava la sproporzione numerica dei coloni con le popolazioni autoctone tra le quali essi vivevano. Il periodo greco durò circa 370 anni, durante i quali Akragas acquistò grande potenza e splendore, tanto da essere soprannominata da Pindaro "la più bella città dei mortali", come testimonia la meravigliosa Valle dei Templi. Inizialmente si instaurò la tirannide di Falaride (570-554 a.C.) che fu caratterizzata da una politica di espansione verso l'interno, dalla fortificazione delle mura e dall'abbellimento della città. Tuttavia Falaride fu meglio conosciuto per la sua crudeltà e spietatezza e per l'uso del toro di bronzo come strumento di tortura per le vittime sacrificali. Il condannato veniva posto al suo interno e del fuoco riscaldava continuamente il toro finché egli non moriva ustionato. Durante l'agonia la vittima emetteva dei lamenti che, come dei muggiti, fuoriuscivano dalla bocca del toro. Il suo ideatore, Perillo, fu il primo a provarne gli effetti. Odiato dal popolo, Falaride morì lapidato e, poiché egli amava vestirsi di azzurro, vennero proibite le vesti di quel colore. Il massimo sviluppo si raggiunse con Terone (488-471 a.C.). Durante la sua tirannide la città contava circa 300.000 abitanti e il suo territorio si espandeva fino alle coste settentrionali della Sicilia. Divenuta grande potenza militare, Akragas riuscì a sconfiggere più di una volta Cartagine nella guerra per il controllo del Canale di Sicilia. Dopo la morte di Terone iniziò un regime democratico (471-406 a.C.) instaurato dal filosofo Empedocle, il quale rifiutò il potere offertogli dal popolo stesso. È in questo periodo che si assiste alla costruzione di numerosi templi e ad una grande prosperità economica, al punto da far dire al filosofo: « L'opulenza e lo splendore della città sono tali, gli akragantini costruiscono case e templi come se non dovessero morire mai e mangiano come se dovessero morire l'indomani. » (Empedocle) Nonostante questo, nel 406 a.C. i cartaginesi invasero la città distruggendola quasi completamente. Nel 339 a.C., grazie al corinzio Timoleonte la città, soggetta all'influenza di Siracusa, venne ricostruita e ripopolata. Nel 210 a.C., con la seconda guerra punica Akragas passò sotto il controllo di Roma col nome latinizzato di Agrigentum, derivato dalla corruzione fonetica del genitivo greco Akragantos.

Gli albori di Caltanissetta vanno cercati in epoca antichissima: reperti dell'età del bronzo trovati nei pressi della città, indicano che la zona è abitata fin dal IV millennio a.C.. La posizione strategica fu certamente il motivo per cui gruppi di uomini, già a partire dall'ultimo neolitico, decisero di insediarsi in questa particolare zona della Sicilia centrale, su delle alture da cui si poteva dominare tutto il paesaggio circostante, molto vicini alla costa settentrionale e collegati alla costa meridionale dall'Imera meridionale, fiume che all'epoca risultava essere navigabile. Il primo nucleo urbano, di origine sicuramente sicana, si formò nella zona del monte Gabal al Habib ("la montagna panoramica"), attestato da un'epigrafe del 397 a.C. nella quale si legge per la prima volta il nome Nissa che, con l'arrivo dei Greci intorno al VII secolo a.C., venne posta sotto il presidio di Siracusa. Da questo momento storico l'arte subì un notevole perfezionamento, iniziarono a sorgere i primi edifici sacri e funerari e vennero costruite mura e altre fortificazioni. Dopo la seconda guerra punica, la Sicilia passò sotto il domino dei Romani, ma come nel resto dell'isola, la loro influenza a Nissa rimase superficiale. Fino a qualche anno fa si pensava che nel 123 a.C. Nissa fosse stata invasa dai Romani guidati dal console Lucio Petilio, che vi installarono una colonia chiamata "Petiliana" in suo onore. Oggi, dopo recenti studi, si tende a pensare che la colonia Petiliana corrisponda alla vicina Delia. Ciononostante il passaggio del console è rimasto un segno indelebile nella toponomastica della zona (es. Borgo Petilia). Un importante indizio della presenza latina risiede nei resti di una villa a nord-ovest di Sabucina, da dove provengono vari reperti archeologici, tra cui un busto dell'imperatore Geta. I primi ad abitare nell'attuale luogo della città furono i Bizantini che nella seconda metà dell'VIII secolo probabilmente edificarono il castello di Pietrarossa. Con l'arrivo degli Arabi, intorno all'846, che ne mutarono il nome in Qal?at al-nisa?' ("castello delle donne"), vi si stanziarono oltre trecento famiglie di origine tunisina Nel 1087, la città venne occupata dai Normanni, e divenne possedimento del Gran Conte Ruggero, che la trasformò in feudo per vari membri della sua famiglia e fondò l'abbazia in stile romanico di Santo Spirito, laddove si trovava un avamposto militare di origine romana. Durante il dominio aragonese nel 1296 Federico III nominò conte Corrado Lancia. Nel 1361 i baroni Francesco Ventimiglia e Federico Chiaramonte assediarono Federico IV nel Castello di Pietrarossa, dove aveva trovato rifugio, e fu salvato dai nisseni, che non sopportavano la prepotenza dei due baroni. Nel 1365 Guglielmo Peralta, che già controllava Sciacca e Caltabellotta divenne il signore di Caltanissetta. Nel 1358 aveva riunito nel Castello di Pietrarossa i quattro uomini più potenti della Sicilia di allora (tra cui lui), Artale Alagona, Manfredi Chiaramonte, Francesco Ventimiglia, che si spartirono l'intera Sicilia nel cosiddetto Governo dei Quattro Vicàri, che tuttavia durò fino al 1392, quando Martino I di Sicilia intervenne militarmente. Il re Martino I regnò fino al 1409, quando gli successe il padre Martino I di Aragona, che però morì un anno dopo, nel 1410. Nel 1407 Caltanissetta passò ai Moncada di Paternò (con la nomina di Matteo conte da parte di Martino I), a cui resterà per 405 anni, fino all'abolizione della feudalità in Sicilia, nel 1812. Nel 1553 fu costruito il Ponte Capodarso sul fiume Salso per facilitare il trasporto dello zolfo. La costruzione, alta quasi 20 metri, è ancora visibile e percorribile. Nel febbraio del 1567 il castello di Pietrarossa crollò a causa di un terremoto e rimasero in piedi solo i resti di tre torri, due delle quali visibili ancora oggi. Nel 1718 a Caltanissetta scoppiò una rivolta antisavoiarda, come in molti altri centri siciliani. L'11 luglio di quell'anno le truppe sabaude di Vittorio Amedeo II di Savoia, guidate dal viceré Annibale Maffei furono costrette ad abbandonare la città. Durante la battaglia ci furono 53 vittime tra i nisseni e 17 tra i soldati piemontesi. Nel 1816, in pieno periodo borbonico, Caltanissetta fu elevata a capoluogo di provincia, grazie alla mediazione del giurista Mauro Tumminelli. Per questo motivo la popolazione nissena si rifiutò di partecipare ai moti separatisti di Palermo del 1820, e la città dovette subire un tentativo di saccheggio da parte di alcune bande armate, formate da galeotti ed ex carcerati, capitanate da Salvatore Galletti, principe di San Cataldo, che devastarono il quartiere della Grazia. Da questo evento nacque la ormai proverbiale rivalità tra le due città. La città fu colpita dal colera nel 1837 e successivamente per altre due volte (1854 e 1866).
Aderì ai moti rivoluzionari ed indipendentisti del 1848-1849, guidati da Ruggero Settimo, che ebbero termine proprio a Caltanissetta, dove fu firmata la capitolazione dei rivoluzionari. Garibaldi e i suoi Mille giunsero a Caltanissetta il 2 luglio 1860 e vi fecero ritorno il 10 agosto. Come l'intera Sicilia venne annessa al Regno d'Italia lo stesso anno. Dopo l'unità d'Italia fu interessata da un grande boom economico dovuto soprattutto ad un'intensa attività mineraria, che però fu accompagnata da varie sciagure: il 27 aprile 1867 morirono 47 persone a causa di un'esplosione di grisù nella miniera di Trabonella, 66 minatori persero la vita a Gessolungo il 12 novembre 1881, e altri 51 nel 1911 a Deliella e a Trabonella. Le strade rotabili la collegavano a Piazza Armerina, Barrafranca e Canicattì fin dal 1838, ma la ferrovia arrivò solo nel 1878. Nel 1867 giunse l'illuminazione a gas, nel 1914 l'arrivo dell'elettricità permise l'apertura del primo cinematografo. Durante la Seconda guerra mondiale, nel quadro dello sbarco degli Alleati in Sicilia, subì diversi bombardamenti (7-9-11-13-17 luglio 1943) durante i quali persero la vita 351 civili. Il 18 luglio le truppe americane sbarcate a Gela una settimana prima entrarono e occuparono la città. Origine del nome
Nissa era il nome di un antico villaggio (poi inglobato nel nuovo vasto tessuto urbano) nei pressi dell'odierna Sabucina che si legge per la prima volta in un'epigrafe pregreca. Il nome degli abitanti di Caltanissetta, i "nisseni", è certamente derivato dall'antica Nissa. Quando il borgo fu conquistato dagli Arabi, questi aggiunsero al nome originale il prefisso Qal?at ("castello"), come testimoniato dal marocchino Idrisi, che nel 1154 la indica come Qal?at al-nisa?. Il termine nisa?, però, in arabo significa "donne", ed è probabile che fosse riferito, con un gioco di parole, alle donne della antica Nissa, piuttosto che al villaggio stesso. La conferma della traduzione esatta come castello delle donne arriverà da Goffredo Malaterra, che rileverà che Calatenixet, quod, nostra lingua interpretatum, resolvitur Castrum foeminarum ("Caltanixet, che è stato tradotto nella nostra lingua Castello delle donne"). Successivamente, durante il primo periodo Normanno (XI secolo), la città iniziò ad assumere il nome di Calatanesat, come si può riscontrare in una bolla del papa Eugenio II; mentre già alla fine del XII secolo, lo storico Ugo Falcando, nel suo Liber De Regno Sicilie, la nomina Caltanixettum, che risulta essere la traduzione ufficiale dell'odierno nome in latino.

Storia Antica La Fondazione

Probabilmente era un insediamento d’origine sicano, in seguito occupato da popolazioni sicule. La città di Katane (in greco Katravn) fu fondata, secondo il racconto di Tucidide nel suo resoconto della Guerra del Peloponneso, dai greci calcidesi guidati da Tucle e salpati da Naxos, nel quinto anno dopo la fondazione di Siracusa. Avendo scacciato con le armi i siculi, fondarono le città di Lentini e Katane. I nuovi abitanti di quest'ultima elessero come loro ecista Evarco. Dalle fonti storiografiche, quindi, Catania fu fondata tra il 729 e il 728 a.C. da coloni greci provenienti dalla città Calcide, nell'Eubea. L'abitato arcaico doveva occupare una collina ben difendibile, immediatamente a ovest del centro della città moderna, in coincidenza dell’antico rione Montevergine, di piazza Dante e dell’ex-convento dei Benedettini (scavi del 1978). Si sa pochissimo sul primo periodo della sua storia. Ad esempio l'origine catanese del celebre legislatore Caronda, che fu esiliato e si trasferì da Reggio. Vi avrebbero soggiornato numerosi e celebri uomini di cultura, come il filosofo Senofane da Colofone (tra i fondatori della scuola eleatica) e i poeti Ibico e Stesicoro, che vi morì (la sua tomba era indicata presso la principale porta a nord della città, che da lui prese il nome di porta Stesicorea).

La Dominazione Siracusana

All'inizio del V secolo a.C. Catania venne conquistata da Ippocrate di Gela. Nel 476 a.C. Gerone I, tiranno di Siracusa, ne deportò gli abitanti a Leontinoi, e li sostituì con 10.000 nuovi abitanti, in parte siracusani, in parte peloponnesiaci, e data ad amministrare a suo figlio Dinomene. Anche il nome della città venne modificato in Aitna (Etna): con tale nome è celebrata nella Pitica I di Pindaro, scritta in onore di Gerone, e nella tragedia perduta di Eschilo, rappresentata per l'occasione (Le Etnee). Ma solo pochi anni più tardi, dopo la morte di Ierone, Ducezio in¬sieme ai siracusani costrinse i nuovi abitanti a trasferirsi a Inessa (che assunse allora a sua volta il nome di Etna), centro forse corrispondente alla Civita di Paternò. Dal 461 a.C. Catania recuperò così il suo nome e i suoi antichi abitanti. Durante la guerra tra Siracusa e Atene (v. spedizione ateniese in Sicilia), Catania, inizialmente neutrale, prese poi posizione a favore di Atene, dopo un celebre discorso che Alcibiade avrebbe pronunciato davanti all'assemblea riunita nel teatro della città. Sottoposta per questo a un'offensiva di Siracusa, dopo la sconfitta degli Ateniesi fu salvata dall'invasione cartaginese della Sicilia del 409 a.C. Ma poco dopo il 403 a.C. Dionisio I di Siracusa riuscì a conquistarla, e ne vendette in parte come schiavi gli abitanti. I superstiti si rifugiarono in un primo tempo a Milazzo, ma da qui poi furono espulsi, e si dispersero in varie località della Sicilia. Dionigi ripopolò la città con i suoi mercenari campani. Nel 345 a.C. fu tiranno di Catania il sabellico Mamerco, che in un primo tempo si alleò con Timoleonte, ma successivamente passò ai Cartaginesi. Sconfitto da Timoleonte nel 338 a.C., egli si rifugiò a Messina; caduto nelle mani dei siracusani, sarebbe stato crocifisso, dopo aver subito un processo nel teatro di Siracusa.

Il Periodo Romano

Nel 263 a.C., all’inizio della prima guerra punica, Catania (lat. Catina o Catana) venne conquistata dai Romani, sotto il comando del console Massimo Valerio Messalla. Del bottino faceva parte un orologio solare che fu collocato nel Comitium a Roma. Da allora la città fece parte di quelle soggette al pagamento di un'imposta a Roma (civitas decumana). È noto che il conquistatore di Siracusa, Marco Claudio Marcello, vi costruì un ginnasio. Intorno al 135 a.C., nel corso della prima guerra servile, fu conquistata dagli schiavi ribelli. Un’altra rivolta capeggiata dal gladiatore Seleuro nel 35 a.C., fu domata probabilmente dopo la morte del condottiero. Nel 122 a.C., a seguito dell’attività vulcanica dell’Etna, fu fortemente danneggiata dalle ceneri vulcaniche stesse piovute sui tetti della città che crollarono sotto il peso. Il territorio di Catina, dopo essere stato nuovamente interessato dalle attività eruttive del 50, del 44, del 36 e infine dalla disastrosa colata lavica del 32 a.C., che rovinò campagne e città etnee, nonché dai fatti della disastrosa guerra che aveva visto la Sicilia terreno di scontro fra Ottaviano e Sesto Pompeo, si avviò sulla lunga e faticosa strada della ripresa socio-economica già in epoca augustea. Tutta la Sicilia alla fine della guerra viene descritta come gravemente danneggiata, impoverita e spopolata in diverse zone. Nel libro VI di Strabone in particolare si accenna alle rovine subite dalle città di Syrakusæ, Katane e Kentoripa. Dopo la guerra contro Sesto Pompeo, Augusto vi dedusse una colonia. Plinio il Vecchio annovera la città che i romani chiamano Catina fra quelle che Augusto dal 21 a.C. elevò al rango di colonie romane assieme a Syracusæ e Thermæ (Sciacca). Solo nelle città che avevano ricevuto il nuovo status di colonia furono insediati gruppi di veterani dell’esercito romano. La nuova situazione demografica certamente contribuì a cambiare quello che era stato, fino ad allora, lo stile di vita municipale a favore della nuova "classe media". Nonostante questi continui disastri, che costituiscono una delle costanti della sua storia, Catania conservò una notevole importanza e ricchezza nel corso della tarda repubblica e dell'impero: Cicerone la definisce «ricchissima», e tale dovette restare anche nel corso del tardo impero e nel periodo bizantino, come si deduce dalle fonti letterarie e dai numerosi monumenti contemporanei, che ne fanno un caso quasi unico in Sicilia. Le grandi città costiere come Catina, nel corso del medio-impero, estesero il loro controllo, anche a fini esattoriali dello stipendium, su un vasto territorio nell’entroterra dell’isola che si andava spopolando a causa della conduzione latifondistica della produzione agricola. Il Cristianesimo vi si diffuse rapidamente; tra i suoi martiri, durante le persecuzioni di Decio e di Diocleziano, primeggia Sant'Agata, patrona della città, e Sant'Euplio. La diocesi di Catania è accertata fin dal VI secolo.

Il Medioevo
Catania Bizantina ed il Regno Normanno-Svevo

Le invasioni barbariche della seconda metà del V secolo sconvolsero tutta la Sicilia e quindi anche Catania. Particolarmente critico sembra essere stato il passaggio dei Vandali di Genserico negli anni 440 e 441 provenienti da Cartagine: causò danni talmente gravi da indurre le autorità alla remissione del pagamento dei tributi. Nel 476, Genserico cede ad Odoacre, re degli Eruli, la Sicilia in cambio di un tributo. Teodorico, divenuto re degli Ostrogoti nel 474, dopo aver sconfitto più volte Odoacre in Italia lo uccise nel 493 restando così l’incontrastato padrone d’Italia.
Il generale bizantino Belisario, inviato da Giustiniano a riconquistare l’Italia, occupò con facilità la Sicilia nel 535. Nuovi scontri fra Belisario e gli Ostrogoti di Totila si verificano fra il 542 e il 548, anno in cui il generale bizantino venne richiamato a Costantinopoli. Catania fu di nuovo occupata da Totila nel 550, ma dopo la sconfitta degli Ostrogoti in Umbria e la morte di Totila nel 552, tutta la Sicilia tornò sotto il controllo bizantino nel 555. Fu proprio da Catania che ebbe inizio la riconquista bizantina dell'isola, e in essa ebbe sede probabilmente il governatore civile bizantino (praetor o praefectus). Rimase bizantina sino alla conquista musulmana che avvenne nel IX secolo. I Normanni, o meglio Ruggero d'Altavilla - ultimogenito di Tancredi d'Altavilla - assieme ai suoi fanti e cavalieri “cattolici” professionisti della guerra, provenienti dal ducato di Normandia e che poco avevano a che fare con i loro “barbari” antenati vichinghi (fase storica tra i secoli VIII e XI), misero piede in Sicilia nel 1060. Dopo aver conquistato Cerami, Troina, Palermo ed altre città, nel 1072 si impadronirono di Catania che ebbe un periodo di rinnovato splendore sotto la guida del vescovo benedettino Ansgerio (Ansgar) voluto dallo stesso Gran Conte Ruggero. Gli Svevi, con la dinastia degli Hohenstaufen, presero il potere in Sicilia grazie ad matrimonio fra Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II d'Altavilla con Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa. Morto il giovane Guglielmo III, ultimo re del regno di Sicilia e prigioniero in Germania, Enrico VI rivendicò l’Italia meridionale e la Sicilia. Nel 1194 e nel 1197 Catania, che aveva sostenuto Tancredi di Sicilia prima e poi osato ribellarsi agli Svevi, fu saccheggiata dalle truppe germaniche.La nobiltà cittadina non ebbe un rapporto felice con gli Hohenstaufen; nemmeno con il grande Federico II al quale si ribellò nel 1232. L’astio verso il potere imperiale fece nascere diverse leggende tra le quali quella che vuole che il castello Ursino sia stato voluto da Federico II per tenere a bada la popolazione. Avvenimento importante per il futuro della città fu l’inserimento di Catania tra le città demaniali. Finiva così la totale egemonia del vescovo-conte.

L'arrivo degli Angioini e il Vespro

Alla fine della dinastia degli Hohenstaufen, nel 1266 la Sicilia venne assegnata dal Papa, che considerava l’isola patrimonio della Chiesa, a Carlo I d'Angiò; ma il dominio angioino ebbe breve durata. I catanesi, che avevano subito ingiustizie, sfruttamenti ed erano stati danneggiati economicamente dalla chiusura dei porti della città, contribuirono validamente al rovesciamento della “mala signoria”. I più importanti nomi che animarono la rivolta a Catania furono quelli di Palmiero, abate di Palermo, Gualtiero da Caltagirone, Alaimo da Lentini e Giovanni da Procida. Quest’ultimo nel 1280, travestito da monaco, si recò dal papa Niccolò III, dall’imperatore di Bisanzio Michele Paleologo e dal re Pietro III d'Aragona, per chiedere: al papa di non appoggiare Carlo d’Angiò in caso di rivolta; all’imperatore Michele l’appoggio esterno contro il nemico comune; e al re d’Aragona di far valere il suo diritto al trono di Sicilia in quanto marito di Costanza figlia di Manfredi, l’ultimo degli Hohenstaufen.

Il regno di Trinacria, il periodo di Catania capitale

Catania sarà capitale non solo del regno dell'isola ma anche di una porzione di territori del mediterraneo. Nel 1282 i moti conosciuti come Vespri siciliani posero fine al dominio dell’isola da parte della dinastia francese. Appena scoppiò la rivolta in Sicilia, la flotta aragonese era già a Palermo e l’occupazione della città da parte di Pietro dava così inizio alla dominazione degli Aragonesi in Sicilia (1282-1415), in quanto lo stesso Pietro era sposato con la figlia di Manfredi, Costanza che era nata proprio nella città etnea. Catania fu la sede dell’incoronazione del re aragonese con il nome di Pietro I di Sicilia, ed acquistò una posizione di privilegio in quanto nel corso del XIV secolo venne scelta spesso come sede del parlamento e dimora della famiglia reale. A Pietro III successe, in Aragona, il suo primogenito Alfonso III d'Aragona, e in Sicilia il suo secondogenito Giacomo, che già nel 1287 dovette respingere, con l’aiuto dell’ammiraglio Ruggero di Lauria, le rinnovate pretese degli angioini che avanzavano verso Catania da terra e dal mare. Alla morte del fratello Alfonso III, Giacomo prese il suo posto e lasciò in Sicilia suo fratello Federico come vicario. Ma la politica di riavvicinamento, di accordi e di legami matrimoniali con la casa d’Angiò, caldeggiata anche da papa Niccolò IV, non piacque ai siciliani che il 15 gennaio 1296 si riunirono in parlamento a Catania ed elessero loro re il giovane Federico III che darà il via alla nascita di un regno del tutto indipendente. Aragonesi e Angioini, alleati per l’occasione, attaccarono le difese siciliane che, anche grazie al tradimento di due catanesi, furono superate. A Catania Roberto d'Angiò prese possesso del castello Ursino, dove poco tempo dopo nacque Luigi futuro re di Napoli. La guerra, che sembrava essersi conclusa con al pace di Caltabellotta (1302) che assegnava la Sicilia a Federico d’Aragona con il titolo di re di Trinacria, proseguì nel 1313. Federico, contravvenendo agli accordi, si confermò re di Sicilia e proclamò suo erede il figlio Pietro che gli successe nel 1337. Sarebbe stato il figlio di Pietro, Ludovico che, grazie all'intermediazione dello zio Giovanni d'Aragona, sarebbe riuscito a tenere testa sia alle lotte interne fomentate dalle due fazioni baronali sia alle incursioni del re di Napoli. Nel Castello Ursino l'8 novembre 1347 Giovanni d'Aragona, tutore di Ludovico di Sicilia e vicario del regno di Trinacria, firmava con Giovanna d'Angiò la c.d. Pace di Catania per cercare di porre soluzione alla guerra del Vespro. Federico il Semplice lasciò il regno alla figlia minorenne Maria, nata dal matrimonio con Costanza, figlia del re Pietro IV d'Aragona, affiancata da quattro vicari: Artale Alagona, Guglielmo Peralta, Francesco Ventimiglia e Manfredi Chiaramonte. Artale Alagona scelse per la giovane regina Maria la residenza del castello Ursino di Catania, progettando di darla in sposa a Galeazzo Visconti, duca di Milano. Ma la fazione capeggiata dai Ventimiglia, baroni d’origine catalana, volevano che sposasse Martino figlio del duca di Monteblanc presunto erede del trono aragonese. Il rapimento di Maria portato a termine da Gugliemo Raimondo Moncada fece fallire i progetti del Gran Giustiziere del regno e permise il matrimonio della regina con Martino di Monteblanc. Re Martino, dopo la morte di Maria avvenuta nel 1402, sposò Bianca, erede del trono di Navarra, che scelse di stabilirsi a Catania assieme alla corte. Ma Martino morì a Cagliari nel 1409 all’età di 33 anni e a lui succedette il vecchio padre Martino duca di Monteblanc, che però sarebbe morto l’anno successivo.

Il Rinascimento ed il periodo Barocco
I Viceré, la Dominazione Spagnola

La facciata dell'ex convento dei Benedettini, che ospita le facoltà di Lettere e Filosofia e Lingue e Letterature StraniereCatania fu teatro delle traversie avute dalla regina Bianca di Navarra a causa delle mire per la successione al trono da parte del Gran Giustiziere Bernardo Cabrera, conte di Modica. Con l’elezione di Ferdinando I come re di Aragona, Valencia e Catalogna la Sicilia fu dichiarata provincia del regno aragonese. La vedova regina Bianca fu confermata “vicaria”. La Sicilia quindi non fu più un Regno indipendente, ma solo un vicereame, e tale rimase. I catanesi si consolarono con alcuni privilegi concessi loro dalla regina Bianca. Il successore di Ferdinando I, Alfonso il Magnanimo riunì il 25 maggio 1416, nella sala dei Parlamenti di castello Ursino, tutti i baroni e i prelati dell’Isola per il giuramento di fedeltà al Sovrano. A castello Ursino si svolsero, fino al 30 agosto, gli ultimi atti della vita politica che videro Catania come città capitale del regno. Fu lo stesso re Alfonso che permise la nascita a Catania dell'Università più antica della Sicilia o Siciliae Studium Generale (1434). Inoltre il 31 maggio 1421, invitato da Gualtiero Paternò e Andrea Castello, che erano stati presenti al parlamento che il re aveva incontrato a Messina, il sovrano venne a Catania per riconfermare ufficialmente le “libertà” e gli “statuti” della città.
La Sicilia divenne parte dei possedimenti spagnoli d'oltremare e fu retta da un viceré che avrebbe allontanato per sempre la diretta conduzione politico-economica del sovrano. Catania continuò a essere favorita dai sovrani spagnoli, ma il popolo partecipò alla rivolta contro Ugo di Moncada nel 1516 e ai tumulti del 1647, in odio al fiscalismo governativo. L'infausto XVII secolo e la rinascita successiva. L'eruzione del 1669 che investì la città (tela di Giacinto Platania, nella sagrestia della Cattedrale di Catania)Una grande colata lavica, le cui bocche effusive si aprirono a bassa quota nel territorio del comune di Nicolosi, investì nel 1669 il lato ovest e il lato sud della città. I danni alle campagne, alle strade e alle difese furono molto gravi ma le stesse mura di difesa della città riuscirono a impedire, in massima parte, che la lava entrasse nel centro abitato.
È stato soprattutto il terremoto del 1693 ad impedire la sopravvivenza del tessuto urbanistico antico e medievale e a segnare profondamente anche l'assetto socio-economico della città, cancellando quasi la totalità della produzione artistica precedente. Scomparvero quasi del tutto le tracce della città greca, mentre una sorte migliore hanno avuto i monumenti di età romano-imperiale.
Dopo il terremoto del 1693, la città venne ricostruita secondo il disegno urbano promosso dal Duca di Camastra e, nel secolo seguente, si sviluppò sino a occupare uno dei primi posti nel commercio italiano. Nel 1820 non aderì al moto indipendentista e fu coi costituzionali napoletani. Nel 1837 partecipò alle rivolte occasionate dal colera, e nel 1848-49 fu all'avanguardia del movimento autonomista.

L'Unità d'Italia e il Fascismo

Gli storici Archi della marina, che caratterizzano la parte sud della città (foto del 1910)Nell'agosto 1862 Giuseppe Garibaldi vi stabilì il centro organizzativo della spedizione conclusasi in Aspromonte. Nel 1891 venne fondato il Fascio di Catania, inizio ufficiale del più importante movimento dei Fasci Siciliani. A partire dal 1902, la vittoria della lista popolare alle elezioni con il 56% dei voti diede inizio al periodo della sindacatura De Felice. Furono avviate le modernizzazioni dei servizi e un vasto piano di aggiornamento urbanistico e abbellimento della città. Figura dominante del periodo fu Filadelfo Fichera, al quale si devono gli scavi e i lavori che portarono alla luce l'Anfiteatro di piazza Stesicoro nel 1906 e progetti edilizi e sanitari. Nel 1905 si iniziò anche il servizio tranviario cittadino con le tre linee da Piazza Duomo a Picanello, Cibali e Guardia Ognina. Furono sistemate un centinaio di strade prima a fondo naturale, prolungato il viale Regina Margherita e promossa la costruzione delle ville Liberty, sistemata la piazza d'armi (oggi Piazza G.Verga), che avrebbe ospitato, nel 1907, la prima Esposizione agricola. Nel 1906 Edmondo De Amicis visitò Catania e la trovò splendidamente moderna. Nello stesso anno, l'assessore ai Lavori Pubblici, Luigi Macchi, assieme al Fichera approntò il "Piano regolatore" per il risanamento della città. Fu acquisita la casa di Vincenzo Bellini e si preparò il riscatto del Castello Ursino per adibirlo a grande museo nazionale; venne costruita la passeggiata a mare di piazza dei Martiri, costruito l'ospedale Garibaldi e l'Ospizio dei ciechi. Vennero posti i capolinea dei tram urbani a Cibali, Picanello e Guardia Ognina. Nel 1908, la città dovette affrontare il problema dell'immigrazione forzata di quasi 25.000 superstiti del terremoto di Messina, con la grande crisi di alloggi conseguente. Nel 1912 fu approntato un grande progetto risanamento e di costruzione di larghe strade: un viale in rettifilo dalla Stazione Centrale a Via Etnea, il Viale della Libertà di 4 km dalla stazione a Picanello, una viale largo 50 metri che dal porto arrivi ad Ognina e un viale di 40 m dal Borgo a Cibali. Ciò avrebbe permesso il risanamento dei malsani quartieri attraversati, Civita, Idria, S. Berillo, Stazione, dove l'anno prima era scoppiata l'ennesima disastrosa epidemia di colera a causa delle paurose condizioni igieniche delle case fatiscenti. Nonostante gli entusiasmi, De Felice non riuscì a reperire i finanziamenti necessari, la guerra incalzava e l'interventismo iniziò a dare i suoi effetti. Con la guerra arrivò la crisi commerciale e dell'attività portuale: sarebbe stato il crollo economico. Il periodo d'oro era finito e i grandi progetti di risanamento urbano furono abbandonati.
Gli anni venti videro l'ascesa a Catania, con il fascismo, di Gabriello Carnazza, ministro dei LLPP nel primo governo Mussolini. Nel periodo fascista, Catania visse un periodo di stagnazione, con l'industria zolfifera in crisi irreversibile, il che comportò la progressiva chiusura delle raffinerie della zona Stazione. Era in forte difficoltà anche l'industria conciaria e quella del legno. A partire dal 1922, sotto la pressione del Carnazza, vennero costituite, col finanziamento dello stato al 70%, delle società per la bonifica del Lago di Lentini e poi del Pantano d'Arci e di altri della zona. Lo scopo prefisso era quello di creare aziende agricole moderne e industrie indotte, ma le iniziative si sarebbero rivelate col tempo solo fonte di speculazione e avrebbero creato poco utile a fronte di grandi investimenti pubblici. Catania si andava trasformando da città industriale e mercantile in città di servizi. Alla fine degli anni venti scomparvero tutti i protagonisti principali della scena politica catanese e l'atmosfera cittadina entrò in una fase di totale grigiore. Unico evento degno di nota del periodo è l'inaugurazione dell'Aeroporto di Fontanarossa nel 1924. Segno dell'impoverimento, una statistica dei consumi della famiglia tipo cittadina: nel 1927 la spesa annua era di lire 11.472; nel 1930 era scesa a lire 9.715. Alla fine degli anni venti vennero ripresi i vecchi propositi di risanamento dei centrali quartieri Antico Corso e San Berillo. Nel periodo 1928 e 1935 si ebbe la risistemazione delle strade centrali e la pavimentazione di quelle ancora a fondo naturale, la nuova rete d'illuminazione (la maggior parte è ancora a gas), la costruzione del Palazzo di Giustizia, il campo sportivo e il tiro a segno. Il risanamento dei vecchi quartieri, le fognature, gli edifici per ospedali e scuole e case popolari avrebbe dovuto attendere la seconda fase di lavori, tra il 1936 e 1943. L'approssimarsi della guerra, però, avrebbe mandato tutto a monte. Verso il 1931 venne bandito un concorso per un piano di fabbricazione della futura "grande Catania", che considerava come "zone di ampliamento" della città quelle di Nesima, Cibali, Barriera, Picanello ed Ognina, con le zone di S. Sofia e S. Antonino a villini e con lo sventramento dei quartieri insalubri di Civita, S. Berillo, Carmine, Antico Corso e Consolazione per il loro risanamento. Si valorizzarono la zona dei monumenti antichi e medioevali, e la zona industriale a sud con le case dei lavoratori nella zona del porto. A ciò si aggiunse una serie di servizi comuni e sociali. Sarebbero stati premiati alcuni progetti, ma nel 1935 si raffazzonò un regolamento edilizio del tutto differente. Rimasta senza un piano regolatore la città avrebbe continuato ad espandersi a nord in maniera disordinata e caotica e a sud con vere e proprie bidonville a ridosso del cementificio. L'entrata in guerra non sortì alcun fermento, neanche per approntare i rifugi, così il bombardamento dell'aeroporto del 5 luglio 1940 fu un vero e proprio brusco risveglio. Nel contempo si era invece organizzato in "maniera industriale" il mercato nero. Dall'aprile 1943 iniziarono le incursioni aeree americane pesanti, con oltre 400 vittime civili e lo sfollamento caotico verso i paesini dell'interno di oltre 100.000 persone. Dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia (9 luglio 1943), i Tedeschi, bloccato il generale Montgomery al ponte Primosole sul fiume Simeto, per sottrarsi alla manovra aggirante degli Anglo-Americani, difesero a lungo la città, che evacuarono soltanto il 5 agosto. La città venne lasciata in uno stato di anarchia per molto tempo, con saccheggi e scassinamenti dei negozi. L'incendio del Palazzo degli Elefanti del 14 dicembre 1944, che causò la perdita dell'archivio comunale (contenente anche documenti del Cinquecento), del Palazzo di Giustizia e del Banco di Sicilia riportarono brutalmente tutti con i piedi per terra.

La storia più recente

La fontana dell'Elefante e il duomo sullo sfondoNegli anni cinquanta si iniziò la ripresa della città. Tanto per cominciare, nel 1950 l'Aeroporto di Fontanarossa fu riaperto dopo una lunga ristrutturazione e si inaugurò la linea dei filobus di via Etnea, che sostituirono i vecchi tram. Poi, grazie all'opera delle amministrazioni comunali dirette da vari sindaci, tra cui Domenico Magrì e Luigi La Ferlita, venne aperta la zona industriale di Pantano d'Arci che, in tempi recenti, sarebbe stata soprannominata Etna Valley. L'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare aprì un centro regionale in città, si iniziò la ristrutturazione del quartiere di San Berillo, la zona più degradata del centro città, attuando, ma in maniera disorganica, lo sventramento progettato già nel 1931. Per gli alloggi degli abitanti del quartiere venne attuato un grande piano di costruzione nelle zone di Nesima inferiore a sud del viale Mario Rapisardi creando i quartieri di San Leone e San Berillo nuovo. Furono creati grandi quartieri dormitorio anche a Nesima superiore. Venne aperta la prima parte della Circonvallazione e iniziò la costruzione dell'odierno viale John Kennedy, che costeggia la Plaia, la spiaggia a sud del centro abitato. Si arrivò così al boom degli anni sessanta, quando Catania venne definita la Milano del Sud per la dinamicità nell'economia e nell'espansione della popolazione. Nel 1964 fu reso noto il Piano Regolatore Generale di Luigi Piccinato, che puntava al recupero delle zone più degradate, come San Berillo e San Cristoforo, dove tutt'ora ben poco è cambiato. Iniziò la costruzione a Librino su progetto del giapponese Kenzo Tange, ma di fatto stravolgendone l'attuazione pratica. Nel 1971 la popolazione toccò i 400.000 abitanti, quasi duecentomila in più in trent'anni. In quest'ambiente proliferava la mafia, ma nessuno ne parlava. Grandi appalti, possibili per l'assenza di un piano regolatore, vengono interamente gestiti dal clan di Benedetto Santapaola, detto Nitto. I primi a denunciare la situazione furono i giornalisti della rivista I Siciliani di Giuseppe Fava, che sarebbe stato ucciso nel 1984. Da allora la situazione è cambiata, anche se non radicalmente. La mafia è molto più nascosta, la città è decisamente più vivibile. Negli anni novanta Catania ha inoltre conosciuto un'esplosione della sua vita notturna. Ancora nel 1992 le sue strade erano quasi deserte alle 8 di sera, tranne quelle principali, e gran parte del centro storico era abbandonato e anche pericoloso. In seguito, grazie alla nuova politica dell'amministrazione del sindaco Enzo Bianco, che facilitò la concessione di licenze per l'apertura di ristoranti, caffè, pub, le strade del centro storico si sono popolate con migliaia di giovani, provenienti anche dai centri limitrofi. Dal 2000 Catania ha iniziato una fase di grande ristrutturazione architettonica, promossa dall'ex sindaco Bianco. La città, agli inizi del 2008, ha vissuto una grave crisi dovuta al dissesto economico delle finanze comunali lasciate dal sindaco dimissionario Scapagnini di Forza Italia dando vita ad un grave buco finanziario per la città con innumerevoli disservizi, miliardi di debiti a società bancarie ed altri enti tra cui anche la società dell'ENEL facendo sì che la città venisse spesso lasciata al buio per sospensione dell'energia elettrica per la pubblica illuminazione.

Le tracce del Neolitico

Insediamenti d'età neolitica, databili all'8000 a.C., sono venuti alla luce su un rilevo, il Cozzo Matrice, nei pressi del Lago di Pergusa, dove sorgeva un villaggio fortificato, le cui mura e i resti sono ancora fruibili, in cui spiccano un tempio più tardo dedicato alla dea Kore, e una interessante necropoli. Altri insediamenti neolitici, attorno al lago, testimoniano della presenza umana e dell'introduzione della coltivazione dell'ulivo che colora le colline della conca pergusina nonostante gli oltre 700 metri d'altitudine. I reperti sono custoditi nel Museo Archeologico Regionale di Enna e nel Museo Alessi di Enna.

I Sicani

Tracce di presenza dei Sicani fanno ritenere che sia stata utilizzata in virtù della sua particolare posizione, a oltre 900 m sul livello del mare nonché nel centro geografico della Sicilia, utile pertanto per l'avvistamento e la difesa. Nell'antica lingua sicana En-naan significava luogo ameno e forse questa è la motivazione del nome attribuito al sito. È teoria diffusa che proprio i Sicani, tredici secoli prima di Cristo, abbiano eretto, sullo sperone orientale del monte Enna, una roccaforte militare di grandissima importanza per quell'epoca remota della storia, che adattamenti e rifacimenti svevi nel Medioevo trasformarono nell'attuale simbolo architettonico della città, l'imponente Castello di Lombardia. Sembra proprio di origine sicana anche l'introduzione nella zona dell'agricoltura e del culto di una dea madre la cui identità si fonderà poi con la Demetra dei greci, nota appunto come Dea delle Messi. In suo onore fu eretto sulla Rocca di Cerere un grande Tempio pagano, descritto tra gli altri da Cicerone, che richiamava pellegrinaggi da tutto il mondo pagano. L'avanzata dei Siculi da oriente rese ancora più importante l'esistenza del sito di Enna che riuscì a resistere e a stipulare un trattato di pace con gli invasori. In seguito le due popolazioni si fusero e integrarono; per circa cinque secoli, fino all'arrivo dei greci, Henna e le città circonvicine, Agyrio, Ergezio, Kentoripa, Enghion ed altre, formarono quasi una nazione ricca e fiorente che solo dopo parecchio tempo venne attratta nell'area di influenza greca. Soprattutto ad Henna l'elemento siculo mantenne una sua propria individualità.

Il Periodo Greco-Romano

L'ellenizzazione della città è testimoniata dalla moneta battuta che è di tipo greco già nel V secolo a.C. La città, la polis, fu chiamata Henna dai greci; era conosciuta in tutta la Sicilia per il suo tempio con il culto di Cerere, per i greci Demetra: i pellegrini vi si recavano persino da Roma. Il periodo presenta alterne vicende in cui Henna fa parte delle poleis sottomesse a Siracusa, come nel 396 a.C. quando il tiranno Dionigi I la conquistò con l'inganno e altre, come nel il periodo di Timoleonte, in cui riacquistò la propria autonomia.
Si mantenne tuttavia abbastanza indipendente e fiorente almeno fino al 307 a.C. quando cadde definitivamente sotto il dominio di Agatocle. Durante il regno di Gerone II le legioni romane riuscirono a sottomettere Henna dopo lunghe battaglie e un'orribile strage commessa da Lucio Pinario, uno dei generali del console Claudio Marcello, il conquistatore di Siracusa nel 212 a.C. La presa di Henna da parte dei Romani fu certamente una delle più ardue imprese che i soldati di Roma avessero mai condotto in Sicilia: essendo la città arroccata su un altipiano imprendibile, e difesa da una fortezza d'origine sicana, essi dovettero ricorrere alla rete fognaria per infiltrarsi fino in cima al monte e conquistare la roccaforte di Sicilia. Da tale esperienza i Romani nominarono Henna Urbs Inexpugnabilis. Cadde successivamente sotto l'influenza dei Cartaginesi. Dopo la conquista romana ottenne il titolo di municipalità libera e divenne fornitrice di risorse alimentari in virtù della fertilità del suo suolo definito il granaio di Sicilia, dovendo però pagare la decima dei prodotti agricoli a Roma. Tuttavia lo sfruttamento romano alimentò un sempre più grave malcontento finché nel 135 a.C. non scoppiò la sanguinosa Prima guerra servile. A capo della rivolta uno schiavo siro di nome Euno che si proclamò re e che fece battere moneta col nome di Basileus Antiocos e per ben tre anni tenne in scacco i romani, anche perché la rivolta, si era estesa a tutta l'isola. Furono commesse molte atrocità soprattutto verso le famiglie patrizie; la riconquista romana sottopose la città a un duro regime vessatorio culminato poi nelle espoliazioni del pretore saccheggiatore Verre che provocarono anche la dura protesta di Cicerone con le sue Verrine. Con la costituzione dell'impero romano Enna riottenne il suo titolo di municipalità e la conservò anche dopo la caduta di questo. Quando iniziarono le invasioni barbariche fu proprio la sua posizione elevata e inespugnabile a salvarla. Nel 535 cadde sotto il dominio dell'impero romano d'oriente riacquistando la sua importanza proprio come roccaforte militare bizantina.

Il periodo Bizantino e la conquista araba

Fino all' 858 Enna rimase sotto i bizantini che vi trasferirono il comando militare e amministrativo data la sua importanza come città strategica. Quando gli arabi invasero la Sicilia, dopo la caduta di Palermo vi si asserragliarono le ultime forze di difesa bizantine. Gli assedianti si stanziarono a lungo sulla montagna di fronte, a Qualat-Shibeth (Calascibetta) e fu una delle ultime città a cadere e non perché espugnata. Il periodo arabo fu comunque quello della rifioritura; governata dall'emiro Kaid venne identificata come nuova capitale musulmana dell'Isola assumendo il nome di Qasr-yannih, che vuol dire castello di Enna.

La fiorente dominazione normanno-sveva

Non fu facile al conte Ruggero espugnare la città; gli occorsero ben quindici anni di assedio. Enna gli venne consegnata nel 1087 solo grazie ad un patto con il comandante saraceno, signore di Castrogiovanni e Girgenti, Ibn-Hamud. Il nome della città a questo punto viene convertito nella forma di Castrogiovanni e tale rimarrà fino all'epoca fascista. Il periodo normanno vede anche l'insediamento di colonie di lombardi e piemontesi a Castrogiovanni, ma anche a Nicosia e Piazza Armerina. Ma, mentre le varie città vennero assegnate come feudi ai cavalieri e alle diocesi, Castrogiovanni rimase città demaniale divenendo importante centro culturale e politico del regno Normanno. Nel 1130 Ruggero II fece restaurare l'antica fortezza sicana oggi nota come il Castello di Lombardia. Federico II re di Sicilia e del Sacro Romano Impero, tra il 1200 e il 1240 vi fece costruire la Torre ottagonale, operando modifiche all'Antico Castello. Dopo la breve parentesi angioina, culminata nei Vespri siciliani (1282), e l'avvento degli aragonesi si riaprì la parentesi felice per Enna; Federico II d'Aragona vi stabilì la sua residenza estiva; vi ricevette il titolo di Re di Trinacria nel 1314 e vi convocò il Parlamento siciliano nel 1324. Vi furono importanti restauri e l'edificazione del Duomo.

La città sotto il dominio Spagnolo

I privilegi di città demaniale di Castrogiovanni decaddero quando nel 1409 la Sicilia si trasformò in un vicereame spagnolo e pian piano anche l'importanza della città si ridusse. Gli spagnoli erano interessati solo allo sfruttamento delle ricchezze del suolo e della produzione agricola. Nel 1713 il trattato di Utrecht assegnò la Sicilia al Duca Vittorio Amedeo di Savoia ma questi dopo poco la barattò con la Sardegna consegnandola alla monarchia austriaca.

I Secoli bui dell'era Borbonica

La dominazione austriaca durò poco; nel 1738 il trattato di Vienna assegnò la Sicilia a Carlo III di Borbone, ma neanche questo nuovo cambiamento arrecò beneficio alla città, che i borboni penalizzarono pesantemente, favorendo al contrario il ripopolamento delle campagne circostanti, con il chiaro intento di sfruttare solamente le potenzialità agricole del circondario. I Borboni favorirono politicamente il comprensorio nisseno, alla cui provincia aggregarono anche il territorio di Enna, che così rimase sino all'epoca fascista.

Dall'unità d'Italia all'erezione a capoluogo di provincia

L'allora Castrogiovanni, contava già 15.000 abitanti ed essendo uno dei centri più popolosi dell'entroterra siciliano, fu attivamente coinvolta nell'impresa dei mille contribuendo all'unificazione dell'Italia. L'eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi, passò da Castrogiovanni nel 1861, e parlò al suo popolo, dal Palazzo Varisano, oggi sede del Museo Archeologico Regionale di Enna, di fronte al Duomo della città. Il discorso che Garibaldi tenne è celebre per via del motto O Roma o la morte! con cui incitò gli ennesi ad unirsi alla sua spedizione. Nella seconda metà dell'Ottocento, Castrogiovanni trovandosi al centro di un territorio ricchissimo di zolfo, con le sue miniere alimentò per quasi un secolo il mercato internazionale. In realtà le solfare erano dei veri campi di lavori forzati anche per giovanissimi solfatari, spesso non ancora adolescenti, venduti dalle famiglie più povere per estrarre il minerale giallastro. Vennero a tale scopo approntate numerose linee ferrate minerarie sui cui vagoni veniva caricato. L'attività mineraria andrà sempre più riducendosi fino al secondo dopoguerra, rimanendo tuttavia sempre ricchezza e piaga per la città di Enna.
Il nuovo secolo vede la intensa attività politica e parlamentare del grande ennese Napoleone Colajanni, e il lustro letterario dei racconti di Nino Savarese, che suonarono come un segno di riscatto per la poco considerata e povera Castrogiovanni. Con l'avvento del fascismo vi furono sommosse nella città, finché il 6 dicembre 1926 non fu proprio il Duce Benito Mussolini a scegliere Castrogiovanni come capoluogo di una nuova provincia, a dispetto delle vicine Piazza Armerina e Caltagirone, all'epoca più popolose di Enna. In tale occasione, nel 1927, le fu restituito l'antico nome legato all'epoca storica greco-romana.

Dal 1927 ad Oggi

Quando fu eretta a capoluogo di provincia, Enna aveva circa 20.000 abitanti, e sconosceva altre attività che non fossero l'agricoltura e l'estrazione dello zolfo. L'essere divenuta la nona provincia siciliana, proprio nel cuore dell'isola, con l'aumento di nuovi posti di lavoro nel terziario, apportò un certo sviluppo alla città, che raggiunse i 31.000 ab., limite tutt'oggi insuperato. Il nuovo status di capoluogo di provincia le permise di revisionare la propria struttura urbanistica, con l'abbattimento di vecchi rioni per far posto a piazze, viali, palazzi ed uffici. Il versante occidentale dell'altipiano in cui spicca la Torre di Federico II, che sino agli anni 1930 era ricoperto da un fitto bosco, venne disboscato e completamente urbanizzato, per l'incremento demografico e la necessità di uffici pubblici. Bombardata dagli alleati il 13 luglio 1943, Enna conobbe un ridimensionamento demografico, anche a causa del crollo dell'attività mineraria. Per tutto il periodo del dopoguerra fino alla metà degli anni sessanta la vita della città si trascinò sonnolenta, mentre le campagne si spopolavano lentamente per effetto dell'emigrazione. A partire da allora si cominciarono a costituire i nuovi insediamenti di Enna Bassa e del Villaggio Pergusa, a valle di Enna. Importanti, ma fugaci, fasi della storia cittadina furono nel 1961 le competizioni automobilistiche di Formula 1 nell' Autodromo di Pergusa sulle rive del lago omonimo, in seguito la nascita del Teatro più vicino alle Stelle nel castello di Lombardia, le gare di Formula 3000 e le esibizioni della Ferrari e di Michael Schumacher a Pergusa e, a metà degli anni Novanta, la fondazione dell'Università Kore di Enna. L'ateneo ennese ha promossa una nuova aspettativa di sviluppo per la città, e ha calamitato in pochi anni migliaia di studenti universitari oltre a 78 milioni di euro d'investimenti per la realizzazione del Campus, il primo e l'unico della Sicilia. Concomitante lo sviluppo di Enna Bassa oggi diventata semi-centro, per servizi universitari, viabilità stradale e importanza commerciale e residenziale per il territorio. Una nuova svolta per la città è la realizzazione dell'idroscalo di Enna, al lago Nicoletti, l'unico idroscalo della Sicilia e l'unico d'Italia assieme a Como; è la prima volta che nella Sicilia centrale viene attivata una struttura per il trasporto aereo.

Messina venne fondata dai Greci intorno al 730 a.C., con il nome di Zancle. I Romani la conquistarono nel 264 a.C. e, dopo la caduta dell'impero romano, fu prima in possesso dei Bizantini e quindi degli Arabi. Nel 1060 venne conquistata dai Normanni. Sotto i domini svevo angioino aragonese, raggiunse grande prosperità divenendo capitale del Regno di Sicilia assieme a Palermo (il Regno di Sicilia comprese per lunghi periodi anche tutta l'Italia meridionale) e, grazie al suo porto, uno tra i primissimi centri commerciali e tra le più grandi, fiorenti ed importanti città del mar Mediterraneo. Fu per lunghi secoli la città siciliana più ricca, seconda nel Mezzogiorno d'Italia solo a Napoli. Nel 1674 si ribellò alla Spagna e ne subì successivamente la repressione. Fu toccata da un grave terremoto nel 1783. Entrò a far parte del Regno d'Italia dopo la spedizione dei Mille garibaldina del 1860. Nel 1908 subì le distruzioni di un altro terribile terremoto e ancora dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Le origini e la città greca

L'omonimo stretto compare già nell'Odissea di Omero come luogo di dimora dei mostri marini Scilla e Cariddi. I ritrovamenti archeologici attestano la presenza di un villaggio dell'età del bronzo. Sullo stesso sito venne fondata intorno al 730 a.C. una tra le prime colonie greche della Sicilia. Alla colonia venne dato un nome di origine sicula, Zancle (con il significato di "falce", in riferimento alla forma del braccio sabbioso di San Raineri, che chiude il grande porto naturale), che conferma la presenza delle popolazioni indigene. Secondo lo storico greco Tucidide i coloni provenivano dalla colonia calcidese di Cuma in Magna Grecia (guidati da Periere) e dalla stessa madrepatria di Calcide nell'isola greca d'Eubea (condotti da Cratemene), madrepatri anche della stessa Cuma. Secondo il geografo latino Strabone i coloni erano originari da Naxos, la prima colonia calcidese nell'isola. La città sorse vicino al lembo nordorientale dell'isola, in posizione strategica di primissima importanza. Poco dopo, i calcidesi fondarono un'altra colonia sulla sponda opposta dello stretto, Reghion, oggi Reggio Calabria, ottenendo così il controllo dell'importantissimo braccio di mare. Dopo la conquista persiana della Ionia si aggiunsero altri coloni, provenienti dall'isola di Samo e da altre località della regione. Agli inizi del V secolo a.C. i Samii furono scacciati da Anassila, tiranno di Reggio, che tenne il dominio su entrambe le sponde dello stretto e diede alla città il nome di Messanion, dalla patria originaria dei suoi avi, la Messenia, in Grecia. Dopo la morte del tiranno, nel 461 a.C., entrambe le città ne cacciarono i figli. Nel 396 a.C. venne distrutta dai cartaginesi, guidati da Imilcone, ma il tiranno di Siracusa Dionisio la ricostruì e la ripopolò con nuovi coloni. Fu liberata dal dominio siracusano da Timoleonte e successivamente riconquistata da Agatocle. Nel 288 a.C. vi si insediarono i mercenari Mamertini, di stirpe sabellica.
I Mamertini, in lotta con Ierone II di Siracusa, chiamarono in aiuto i Romani e provocarono lo scoppio della prima guerra punica tra Roma e Cartagine.

Messina Romana

Apriamo questa sezione di storia messinese in epoca romana con un brano del celebre oratore e avvocato ante-litteram Marco Tullio Cicerone che nelle Verrine cita Messina: "Gaio Eio (questo me lo concederamno senza discutere tutti coloro che si sono recati a Messina) è il mamertino più ragguardevole in quella città sotto tutti i punti di vista. La sua casa è senza paragone la più nobile di Messina, e senza dubbio la più conosciuta, la più disponibile per i nostri concittadini, un modello di ospitalità. Prima dell’arrivo di Verre questa casa era così adorna da rappresentare un ornamento anche per la città. Infatti proprio Messina, che deve le sue bellezze alla posizione naturale, alle mura e al porto, è addirittura sprovvista e priva di quegli oggetti di cui costui si diletta. 4. Ora, in casa di Eio c’era una cappella privata molto antica, oggetto di grande venera zione, lasciataglia dai suoi antenati: in essa spiccavano quattro bellissime statue di squisita fattura, universalmente note, che potevano deliziare non solo codesto fine intenditore, ma anche ciascuno di noi, che costui chiama profani: la prima era Cupido di marmo, opera di Prassitele. Ma, per tornare alla cappella privata di Eio, c’era da una parte questa statua marmorea di Cupido, di cui sto parlando, dall’altra un Ercole di bronzo di fattura egregia, attribuito se non erro a Mirone (e l’attribuzione è sicura). Parimenti, di fronte a queste divinità, stavano due piccoli altari che potevano far comprendere a chiunque il carattere sacro della cappella: si trovavano inoltre due statue in bronzo di mo deste proporzioni, ma di straordinaria eleganza, che rappresentavano nel portamento e nel modo di vestire quelle fanciulle che, con le braccia sollevate, sostengono sul capo un canestro con certi arredi sacri secondo il costume delle ragazze ateniesi: si chia mano appunto Canefore. Consegnata dai Mamertini ai Romani nel 264 a.C., ottenne dopo la fine della guerra lo status di civitas libera et foederata (città libera ed alleata, formalmente indipendente), unica in Sicilia insieme a Tauromenium (Taormina). Il nome greco Messanion fu tradotto in latino come Messana. Durante l'età repubblicana subì ancora attacchi durante le guerre servili (102 a.C. Cicerone, nelle orazioni contro Verre, la definì civitas maxima et locupletissima (città grandissima e ricchissima). Pompeo attaccò nel 49 a.C. la flotta cesariana che si riparava nel porto della città. Successivamente divenne una delle principali basi di Sesto Pompeo, che vi sconfisse la flotta di Ottaviano e venne in seguito saccheggiata dalle truppe di Lepido. In seguito divenne probabilmente municipio. Delle vicende della città in epoca imperiale non sappiamo quasi nulla. Secondo la tradizione,S. Paolo approdò sulla costa ionica della città e vi predicò il Vangelo. Dopo la divisione dell'impero fece parte dell'Impero bizantino (Impero Romano d'Oriente) governata però da magistrati propri chiamati "Stratigoti". Nel 407, sotto l'Imperatore bizantino Arcadio, Messina venne costituita "protometropoli" della Sicilia e della Magna Grecia.

Messina nel Medioevo

Dopo una valorosa resistenza, Messina venne conquistata nell'843 dagli Arabi,sotto i quali subì un periodo di decadenza. Con la caduta di Rometta, ultima roccaforte dei Bizantini, nel 965 tutta la Sicilia era stata occupata e sottomessa agli Arabi. In quegli anni si costituì la Sacra Milizia dei Verdi per difendere il SS Sacramento portato agli infermi o in processione.Furono proprio nobiluomini messinesi a sollecitare l'intervento dei Normanni contro gli Arabi.Nel 1061, con la riconquista di Messina da parte del Gran Conte Ruggero D'Altavilla, iniziò la riconquista cristiana della Sicilia. Sotto il dominio normanno la città si riprese economicamente e demograficamente e godette di un lunghissimo periodo di opulenza, che la vide patria di importanti personaggi (come il grande pittore quattrocentesco Antonello da Messina). Da questo periodo ininterrottamente Messina esercitò il ruolo di metropoli della Sicilia orientale e della Calabria, punto di riferimento sotto gli aspetti economico, politico, militare, culturale, artistico e religioso sia per le città della vicina Calabria che per tutte quelle della Sicilia orientale. La città ottenne sin da epoca normanna numerosi privilegi dai Re di Sicilia, che esaltarono il ruolo già rilevantissimo del suo porto, facendola divenire capitale economica della Sicilia e la fecero, al pari di Palermo, capitale del Regno. Messina fu dotata di una Zecca e di un arsenale e fu fondato il monastero Basiliano del S.S Salvatore, centro di cultura greco-bizantina, di cui restano importanti codici. Risalgono a questo periodo molti importanti monumenti: il Duomo(che poi subì molte modifiche),la SS Annunziata(detta poi dei Catalani),S. Maria di Mili S. Pietro,S. Maria della Valle(detta la Badiazza).Vi era un palazzo reale con quattro torri. Nel 1189, il Re inglese Riccardo Cuor di Leone, mentre si recava in Terrasanta per la terza crociata, si fermò a Messina per recuperare la dote della propria sorella Joan, già sposata con Guglielmo II di Sicilia. I contrasti con il re Tancredi indussero Riccardo a occupare la città insediandosi nel castello di Matagrifone dal quale dominava e spadroneggiava in città. Dopo quasi un anno Riccardo raggiunse un accordo sia con Tancredi che con uno dei suoi stessi compagni di Crociata, il re Filippo Augusto di Francia; l'accordo comprendeva la rinuncia di Riccardo a sposarsi con la sorella di Filippo, Alice, così da poter sposare la principessa Berengaria di Navarra.
Durante il periodo svevo, per concessione di Federico II, i Cavalieri Teutonici ebbero facoltà di costruire un loro Gran Priorato con ospedale e chiese,per avere sicura base per le imprese in Terrasanta; sorse così la chiesa di S.Maria Alemanna(o degli Alemanni)in stile gotico. A seguito della rivolta dei Vespri siciliani contro gli Angioini , nell'estate del 1282, Messina fu posta sotto assedio da Carlo I d'Angiò, consapevole che non avrebbe mai potuto avanzare all'interno della Sicilia se non dopo aver espugnato la città sullo stretto. L'assedio durò fino a tutto il mese di settembre, ma la città non fu espugnata. Nel frattempo i siciliani avevano offerto la corona di Sicilia a Pietro III d'Aragona, marito di Costanza, figlia del defunto Re Manfredi di Svevia, trasformando l'insurrezione in un conflitto politico fra siciliani e Aragonesi da un lato e gli Angioini, il Papato, il Regno di Francia e le varie fazioni guelfe dall'altra. Il 26 settembre 1282, Re Carlo, sconfitto, fece ritorno a Napoli. Durante il dominio aragonese il territorio di Messina ospitava colonie di pisani, veneziani e genovesi e una fiorente comunità di ebrei. Inoltre la città aveva relazioni con toscani, marchigiani e liguri,ma anche con marsigliesi e catalani. Nel 1347, nei primi giorni di ottobre, nel porto di Messina arrivarono delle navi genovesi provenienti da Caffa (oggi chiamata Teodosia) nel Mar Nero. Poco tempo dopo l'arrivo delle navi, in città si manifesto un'epidemia: i malati presentavano rigonfiamenti di colore nero sotto le ascelle e all'inguine, con perdita di sangue e presenza di pus; le emorragie interne provocavano dolori lancinanti e portavano alla morte in pochi giorni, se non nel giro di ventiquattr'ore. Il morbo era la famigerata peste nera o peste bubbonica. Quando i messinesi capirono che il contagio era da ricondursi all'arrivo delle navi genovesi, queste ultime vennero scacciate al largo, ma ormai l'infezione era dilagante e in poco tempo si sarebbe diffusa in tutta Europa con effetti devastanti fino al 1350. La peste nera del 1347 è quella ricordata da Giovanni Boccaccio nel Decameron. Nel 1492, all'età di 22 anni, Pietro Bembo chiese al padre il permesso di potersi recare a Messina alla famosa scuola di Costantino Lascaris, che veniva ritenuto il migliore dei grecisti dell'epoca ; il Bembo rimarrà nella città dello stretto fino al 1494.

Dal Rinascimento alla rivolta antispagnola

Messina, dopo l’impresa di Tunisi (1535), accolse l’Imperatore Carlo V con onori trionfali nella zona che fu poi denominata Porta Imperiale. La città era, con il baluardo avanzato Malta, la principale base strategica nel centro del Mediterraneo contro l’espansione ottomana e la pirateria barbaresca. L'economia della città era caratterizzata dal grande sviluppo dell’industria serica e dal porto franco. L'imperatore volle che fosse ampliata la cinta muraria e negli anni successivi furono costruiti il forte Gonzaga (dal nome del vicerè dell'epoca), il forte S. Salvatore nella zona falcata e un nuovo arsenale. Nel 1548, Ignazio de Loyola fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis Iesu, prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i Gesuiti fonderanno con successo nel mondo, facendo dell'insegnamento il carattere distintivo dell'Ordine. Il Collegium in seguito si trasformò nel Messanense Studium Generale, ossia l'Università di Messina. Tra gli uomini di cultura messinesi è da ricordare in particolare Francesco Maurolico(1494-1575)letterato e scienziato,con interessi in vari settori del sapere e della vita cittadina. Nel 1571 dal porto di Messina partì la flotta cristiana, al comando di Don Giovanni D'Austria, che sconfisse i Turchi nella Battaglia di Lepanto, e Messina accolse la flotta al rientro dalla vittoriosa spedizione. Nella battaglia i messinesi, a bordo delle loro navi, furono comandati da fra Pietro Giustiniani da Messina dell'ordine dei Cavalieri di Malta. Tra i comandanti primeggiarono il conte di Condojanni, Vincenzo Marullo e il barone di Ucria, Pietro Marquett de Guevara, entrambi peloritani. Tra le persone ferite sbarcate dalla flotta c'era Miguel de Cervantes (Miguel Saavedra de Cervantes), che rimase ricoverato nel Grande Ospedale della città per diversi mesi a causa della ferita riportata, alla mano sinistra, in battaglia. Messina raggiunse, nella prima metà del '600, il periodo di massimo splendore economico, tanto da poter essere annoverata tra le dieci più grandi ed importanti città d'Europa. Allo stesso tempo crebbe il suo ruolo culturale, caratterizzato in particolare da feconde relazioni con Roma. Nel 1638 l'Università di Messina fondò l'Hortus Messanensis, il più antico orto botanico della Sicilia, e chiamò Pietro Castelli, da Roma, per realizzarlo. Castelli utilizzò un innovativo ed originale sistema di classificazione delle piante, anticipando la disposizione riconoscibile in un moderno orto botanico: le piante furono distinte in quattordici classi nell'Hortus, e quindi riunite in quattro hortuli. Pietro Castelli fu sostituito da Marcello Malpighi, fondatore dell'istologia e dell'anatomia vegetale. Marcello Malpighi condusse, gran parte delle sue osservazioni scientifiche sulle piante dell'Hortus Messanensis, poi pubblicate nelle sue opere Anatomes Plantarum Idea e Anatome Plantarum. Un altro illustre cittadino che si formò nell'Urbe e (dopo un temporaneo ritorno) vi si stabilì definitivamente fu Agostino Scilla, valente pittore e fondatore della moderna paleontologia. Nel 1674, Messina si ribellò alla Spagna ma, non potendo sostenere da sola tale contrapposizione, chiese la protezione del re francese Luigi XIV, riuscendo così a mantenersi indipendente dall'impero spagnolo, anche se con gravissime difficoltà.I ribelli erano chiamati Malvizzi,i filo-spagnoli Merli. Nel 1678, con la firma della pace di Nimega tra Francia e Spagna, la città venne abbandonata a sé stessa dai Francesi e subì una crudele riconquista spagnola. Rioccupata, Messina fu dichiara morta civilmente e privata di tutti i privilegi storici goduti sin dai tempi di Roma,; fu abolita la Zecca, chiusa l'Università, abolito il Senato cittadino e se ne distrusse il palazzo, cospargendo di sale l'area in cui sorgeva in segno di disprezzo; fu fatto calpestare ai cavalli l'Orto botanico e fu sciolto l'ordine militare nobiliare dei Cavalieri della Stella; si confiscarono e si trasferirono in Spagna alcune opere d'arte e soprattutto i preziosi documenti in pergamena contenenti le memorie storiche della città;. Inoltre venne costruita una imprendibile fortezza pentagonale nella zona portuale, per tenere sotto stretto controllo militare la città: la Cittadella. La riconquista spagnola concluse uno dei periodi più floridi della storia della città. Molti cittadini furono banditi; tra questi lo scienziato e docente universitario Giovan Antonio Borelli,condannato a morte in contumacia. Una nuova epidemia di peste nel 1743, varie carestie(1746,1747,1760)e il terremoto del 5 febbraio 1783, inflissero due nuovi durissimi colpi alla città dello Stretto. I lavori di ricostruzione, pur con gli interventi garantiti dal sovrano Ferdinando IV di Borbone, quali l'esenzione ventennale dalle imposte e lo stato di porto franco, durarono a lungo; la città fu edificata ancora una volta alla vecchia maniera, dimenticando la triste lezione impartita dal sisma.

Ottocento e Novecento

Dopo il Congresso di Vienna anche a Messina si diffuse la Carboneria. Venivano pubblicati diversi giornali che trattavano argomenti letterari, scientifici, artistici, ma anche esprimevano l'aspirazione alla libertà; vi collaboravano Giuseppe La Farina, Carmelo Allegra ecc. Fu Messina, con i moti del 1 settembre del 1847, nella zona di piazza Duomo, ad iniziare il Risorgimento Italiano; vi furono morti e feriti ma la rivolta fu subito repressa. Seguirono processi e condanne ma fu giustiziato solo il calzolaio Giuseppe Sciva, di 27 anni, il 2 ottobre 1847. Nel 1848, nuovamente ribellatasi ai Borboni, Messina subì per otto mesi pesanti bombardamenti da parte dei cannoni della sua stessa cittadella, in mano ai nemici e dovette ancora una volta capitolare alle truppe comandate dal generale Filangeri che la flotta borbonica riuscì a sbarcare. Questi bombardamenti procurarono al re Ferdinando II di Borbone il soprannome di Re Bomba. I messinesi si difesero con grande eroismo, ma alla fine dovettero cedere. Alcuni giovani, detti Camiciotti (cioè in camicia), per non arrendersi si gettarono col tricolore nel pozzo del convento della Maddalena. Nel 1848, durante i moti risorgimentali di Messina, il medico chirurgo Ferdinando Palasciano nato a Capua ed ufficiale dei Borboni, si adoperò per prestare soccorso sanitario anche ai nemici nonostante fosse stato minacciato di fucilazione dal generale borbonico Filangeri. Questa esperienza esposta nelle sue successive dichiarazioni al Congresso Internazionale dell'Accademia Pontaniana di Napoli del 1861 ebbe una vasta risonanza in Europa e fu alla base della Convenzione di Ginevra del 1864 che dette vita alla Croce Rossa. Il 27 luglio 1860 i Garibaldini, vittoriosi a Milazzo, entrarono in città, anche se i soldati borbonici resistettero nella cittadella fino alla primavera dell'anno successivo (cadde il 12 marzo 1861). Dopo qualche mese Messina ricevette la visita di Vittorio Emanuele II, ma l'unificazione d'Italia portò alla soppressione di prerogative fiscali e commerciali locali, nella restaurazione delle quali la città sperava. Nel 1866 Giuseppe Mazzini venne eletto alla Camera dei deputati nel collegio elettorale di Messina. La Camera dei deputati annullò il voto dei messinesi con 181 voti contro 107, motivando l'annullamento con la condanna a morte di Mazzini per i moti genovesi del 1858. Il Collegio elettorale chiamato ad esprimersi nuovamente rielesse per la seconda volta come suo deputato , che il 7 febbraio 1867 rinunciò comunque alla carica. Nel 1884 Ilya Ilyich Mechnikov, anche noto come Elia Metchnikoff, scoprì a Messina, dove si era trasferito da qualche anno proveniente dalla Russia, la fagocitosi, cioè il processo di ingestione da parte della cellula di particelle di grandi dimensioni, che fa parte anche dei meccanismi di difesa dei vertebrati contro l'infezione batterica. Per tale scoperta Mechnikov fu insignito nel 1908 del Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia. Nella seconda metà dell'800 e nei primi del '900 a Messina erno fiorenti sia le attività economiche che la cultura. Vi erano illustri letterati,musicisti,giuristi; all'Università insegnarono famosi docenti,tra cui Giovanni Pascoli, Ettore Ciccotti, Vittorio Emanuele Orlando,Gaetano Salvemini. Messina fu gravemente danneggiata dal terribile terremoto e maremoto del 28 dicembre 1908, che uccise circa 70000 dei suoi abitanti e abbattè numerosi edifici, tra cui la celebre Palazzata. Essa ricevette aiuti da tutta l'Italia e da paesi esteri e fu successivamente ricostruita sullo stesso sito con un nuovo razionale impianto urbanistico progettato dall'ingegnere Luigi Borzì. Fu nuovamente distrutta dagli immani bombardamenti angloamericani del 1943, che causarono migliaia di morti. Per la tenacia nel resistere alle catastrofi e nel rinascere ancora una volta, la città fu decorata con una medaglia d'oro al valor militare ed una al valor civile.
Dal primo al tre Giugno 1955, mentre era Ministro degli esteri il messinese Gaetano Martino, la città ospitò la Conferenza di Messina, passo fondamentale e decisivo che avrebbe portato alla costituzione dell'Euratom e della CEE (Comunità Economica Europea), diventata in seguito Unione Europea. Il 1º ottobre 2009, alcune frazioni e villaggi della città, sono stati colpiti da un'alluvione, che ha provocato decine di morti e più di cinquecento senzatetto.

Preistoria e primi insediamenti

La presenza umana a Palermo è attestata sin dall'epoca preistorica come una delle più antiche di tutta la Sicilia, con interessanti graffiti e pitture rupestri, ritrovati nelle grotte dell'Addaura nel 1953 dall'archeologa Jole Bovio Marconi: figure danzanti in un rito magico propiziatorio, forse “sciamani” di un popolo che abitò l'isola. La città di Palermo, sorta in epoca sconosciuta, su insediamenti preistorici in forma diversa dall'attuale, sulla convergenza di due parti naturali, si chiamò Sis, il cui significato è “fiore” nella lingua primigenia d'origine africana come i suoi primi abitanti, i Matabei, popolo proveniente dalla Giordania, passato dalla Spagna all'isola.

Guerre puniche

La città rimase sotto il controllo fenicio fino alla Prima guerra punica (264-241 a.C.), a seguito della quale la Sicilia venne conquistata dai Romani. In particolare Palermo fu al centro di uno dei principali scontri fra Cartaginesi e Romani, finché nel 254 a.C. la flotta romana assediò la città, costringendola alla resa e rendendo schiava la popolazione che venne costretta al tributo di guerra per riscattare la libertà. Asdrubale tentò di recuperare la città ma venne sconfitto da Metello, il console romano. Un ennesimo tentativo per recuperarla venne fatto da Amilcare nel 247 a.C. che il suo esercito non abbandonarono l'area e si insediarono alle pendici di Monte Pellegrino (all'epoca chiamato Erecta) tentando in più occasioni di riprenderne il comando, ma la città era ormai fedele a Roma dalla quale ottenne i titoli di Pretura, l'Aquila d'oro e il diritto di battere moneta, restando una delle cinque città libere dell'isola, per questo motivo i cartaginesi rimasti dovettero abbandonare definitivamente il territorio palermitano. Il periodo romano è stato di tranquillità e la città faceva parte della provincia di Siracusa, con la successiva divisione dell'Impero la Sicilia, e con essa Palermo, furono attribuite all'Impero Romanod'Oriente.

Periodo imperiale, invasioni barbariche, bizantini

Testimonianza dell'agiatezza e dello splendore della romana “Panormus” sono edifici dell'epoca della zona di Piazza Vittoria fra cui il teatro esistente fino al tempo dei Normanni e mosaici scoperti nel 1868 in Piazza della Vittoria. In epoca imperiale fu colonia romana – come ci narra Strabone – ed era ancora il granaio di Roma, ma risentì della decadenza dopo Vespasiano, subendo le invasioni barbariche dal 445, con Genserico, re dei Vandali che mise a ferro e fuoco la città, fino al dominio di Odoacre, Teodorico capo degli Ostrogoti. Nel 535 Belisario espugnò con la sua flotta navale Palermo, sottraendola agli Ostrogoti; iniziava così il periodo bizantino che si protrasse fino all'830 quando gli Arabi, sbarcati a Marsala quattro anni prima, ne fecero la capitale del loro regno in Sicilia.

Dominazione araba
I Normanni

Il periodo arabo di massimo splendore continuò con i Normanni (soprattutto con Ruggero II) e con gli Svevi (Federico II, 1194-1250), i quali seppero raccogliere e utilizzare l'eredità culturale araba, greca e romana. Alla morte di Federico II fa seguito un lungo periodo di instabilità culminata con la rivolta antifrancese del Vespro (1282). Palermo si separa da Napoli e offre la corona di Sicilia a Federico III d'Aragona. I Normanni ripristinarono il culto cristiano, dichiarando la città capitale dell'isola e nel 1130 Ruggero II d'Altavilla cingeva la corona di Re di Sicilia. Cominciava così un regno caratterizzato dalla convivenza di varie etnie e diverse fedi religiose, una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129, e l'organizzazione del catasto secondo una moderna concezione. Gli edifici più importanti della città ancora oggi ne dimostrano la civiltà, come la chiesa della Martorana e la Cappella Palatina, e il geografo arabo Edrisi, nel libro dedicato a re Ruggero, ci ha lasciato la testimonianza di questo magnifico periodo di fasti e ricchezza.
Ai due Ruggero successero Guglielmo I (detto il Malo) e Guglielmo II (detto il Buono), i quali tentarono d'opporsi alle mire dell'imperatore Federico Barbarossa, deciso ad annientare il Regno dei Normanni in Sicilia.

Gli Svevi

Un matrimonio di stato fra Enrico VI, figlio dell'imperatore tedesco, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, nel 1185, tentò un accordo pacifico, ma aprì solo la strada alla conquista Sveva e nel 1194 Palermo veniva conquistata dal sovrano tedesco. Aveva così inizio la nuova dinastia degli Svevi in Sicilia che con Federico II, figlio di Costanza I raggiunse il massimo dello splendore. Palermo e la corte divennero il centro dell'Impero, comprendente le terre della Puglia e dell'Italia meridionale. A Palermo nacque la "Scuola poetica siciliana" con la prima poesia italiana; e politicamente il sovrano chiamato "Stupor mundi" (meraviglia del mondo) anticipò – come scrive Santi Correnti – "la figura del principe rinascimentale", anche con le cosiddette Costituzioni Melfitane (1231). Il suo regno fu tuttavia caratterizzato dalle lotte contro il Papato e i Comuni italiani, nelle quali riportò vittorie o cedette a compromessi, organizzando la quarta crociata e dotando l'isola e il meridione di castelli e fortificazioni. Volle essere sepolto nella cattedrale di Palermo, quando nel 1250 si concluse improvvisamente la sua vita, conseguentemente scatenando le lotte di successione in cui Manfredi, figlio naturale di Federico II, venne sconfitto a Benevento nel 1266 da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia.

Gli Angioini

Carlo d'Angiò dava inizio alla dominazione angioina che sarebbe durata fino al 1282. Carlo e i suoi funzionari cercarono di sfruttare con tasse e tributi la Sicilia, mentre frattanto la capitale veniva spostata a Napoli. Il malcontento dei Siciliani culminò nella rivolta del Vespro, il 31 marzo 1282, quando dinanzi alla chiesa del Santo Spirito – si dice – esplose la reazione popolare in seguito all'offesa fatta da un certo Drouet ad una donna palermitana. Tale avvenimento fu l'occasione per cacciare gli odiati Angioini, mentre veniva inviato ad assumere la corona del Regno Pietro III d'Aragona. Cominciò una guerra che sarebbe durata novant'anni in tre fasi distinte concluse rispettivamente con la pace di Caltabellotta nel 1302, la pace di Catania nel 1347 ed infine con il Trattato di Avignone 1372.

Gli Aragonesi

Palermo passò da un sovrano all'altro della dinastia aragonese: Giacomo II, Federico III di Aragona e l'isola fu lacerata dalle rivalità fra le famiglie nobili come i Ventimiglia, gli Alagona e i Chiaramonte, i quali si contendevano il potere nelle terre occidentali della Sicilia. Tracce artistiche del periodo aragonese troviamo in Palermo in alcuni palazzi sontuosi come lo Steri e Palazzo Sclafani di stile chiaramontano, mentre i commerci con Genova e con la Spagna fiorirono con lo scambio di materie prime e prodotti artigianali.

La dominazione spagnola

Nel 1494, alla morte di re Martino, la Sicilia venne annessa alla Spagna e Palermo diventava sede dei Viceré, i governatori a cui veniva affidato il potere nell'isola da condividere con i baroni. Furono espulsi gli ebrei, istituito il Sant'Uffizio, e crebbero i privilegi nobiliari. Tuttavia la città vide rilanciare l'attività artistica e la costruzione di sontuosi edifici pubblici come la chiesa di San Giuseppe, la chiesa di Santa Maria dello Spasimo e il nuovo assetto scenografico di Porta Nuova, pur frutto di pesanti tasse. Dopo Ferdinando d'Aragona la corona di Sicilia passò a Carlo V, della dinastia degli Asburgo, e, alla sua morte, al ramo principale degli Asburgo, quello di Spagna, con Filippo II suo figlio, che esercitò il potere da lontano mediante dei viceré, spalleggiati dalla nobiltà locale, poderosa e, non di rado, prepotente. La città s'arricchì però, ad uso soprattutto delle classi nobiliari, dell'apertura di via Maqueda, della scenografia dei Quattro Canti, con statue innalzate ai sovrani come quella a Carlo V in Piazza Bologna, di mura robuste e bastioni per la difesa del territorio. Ecco cosa scrisse lo scrittore Albert Jouvin proprio durante il periodo spagnolo: « Palermo non è convenevolmente paragonabile ad altra città che a Napoli, non soltanto perché è un'importante porto marittimo, sede di Arcivescovado, capitale di un Regno e residenza di un Viceré, ma anche perché deve essere annoverata tra le città più belle e le più grandi, ed è poste in un sito tra i più gradevoli di tutta l'Italia: essa sorge infatti nel bel mezzo di una campagna fertile, estesa per diverse miglia e circondata da colline ridenti sulle quali si trova la maggior parte delle splendide case di villeggiatura, dimore stagionali dei cittadini nobili e loro delizia in quanto godono della veduta del mare e dei più bei giardini d'Italia. In una parola non si può immaginare niente di più amabile, di più incantevole di questo luogo, di più dolce della sua aria; niente di simile alla grandiosità e alla magnificenza dei suoi palazzi, di più delizioso delle sue fontane e dei suoi giardini. Passeggiando per la città l'abbiamo ammirata di continuo notando la lunghezza delle sue strade tracciate in linea retta, che presentano una prospettiva infinita, tanto più godibile in quanto compresa tra due file di case veramente belle,tali da offrire non poco di letto a chi cammina tra esse. Quella del Cassaro è la più importante, sia per la sua lunghezza e per la sua larghezza, sia perché attraversa d'un punto all'altro la città che essa divide in due parti uguali. »

I Borboni

Coinvolta nelle guerre europee tra Francia, Austria e Spagna, nel 1713 col trattato di Utrecht la Sicilia passava a Vittorio Amedeo II di Savoia per breve tempo, finché dal 1734 ritornavano i Borbone con Carlo III che scelse Palermo per la sua incoronazione del come re di Sicilia e re di Napoli. Sotto questo monarca la città vide crescere e sviluppare l'edilizia, l'industria, il commercio in modo fiorente. A lui successe il figlio Ferdinando, non molto gradito dai palermitani, ma nel 1798 gli eventi della Rivoluzione francese costrinsero il sovrano a rifugiarsi a Palermo. Nel 1816 cancella il parlamento palermitano ed il Regno di Sicilia, dando vita all'originale Regno delle Due Sicilie. Negli anni seguenti a causa di questo torto dal 1820 al 1848 la Sicilia venne coinvolta nei moti rivoluzionari che videro nel 12 gennaio del 1848 un'insurrezione popolare capeggiata da Giuseppe La Masa che proclamava la riapertura del soppresso parlamento e la monarchia costituzionale con comitati presieduti da Ruggero Settimo che fu il presidente del nuovo regno che durò sedici mesi. Ma i Borboni ripresero il potere bombardando le città siciliane (re Ferdinando IV fu detto perciò “Re Bomba”) che avrebbero mantenuto fino allo sbarco di Garibaldi.
Costui nel 1860, con la Spedizione dei Mille preparata dalla rivolta della Gancia del 4 aprile di Francesco Riso, entrava trionfante a Palermo da via porta Termini il 27 maggio, dopo aver assunto la dittatura dell'isola col proclama di Salemi, chiamato a liberare la Sicilia dai Borboni da Rosolino Pilo. Dopo le battaglie vittoriose nell'isola col plebiscito del 1860, la Sicilia sceglieva l'annessione all'Italia, che si sarebbe costituita in regno nel 1861. La Palermo di quegli anni viene esemplificata perfettamente da un testo dello studioso francese René Bazin: « Ha proprio l'aria di una capitale, di vecchia città sovrana, questa Palermo bianca, circondata da aranci. Davanti a sé ha una delle più belle baglie del mondo, largamente aperta, limitata da due montagne la cui cresta è magnifica al di sopra del mare azzurro. Dietro un semicerchio di verdura cupa, un immenso orto di agrumi dove splende qua e là il biancore di una casa di ricchi, e che presto si restringe, forma una valle e sale come un nastro svolgentesi in mezzo a cime senza alberi. È la Conca d'Oro. Nell'interno, due grandi strade che si tagliano ad angolo retto, la via Maqueda e il corso Vittorio Emanuele, dividono interamente Palermo e tracciano sulla città il segno della croce così come la ordinarono i suoi pii costruttori d un tempo. I monumenti sono ovunque: appartengono a tutte le età, raccontano ciascuno il paesaggio, e l'umore sontuoso, poetico o guerriero, e l'anima così diversa delle razze che si sono succedute nell'isola. Poiché ha molto spesso cambiato padrone, la Sicilia non ne ha amato nessuno, forse ha sempre avuto in fondo al cuore un sogno deluso di libertà. Essi, al contrario, l'hanno abbellita e ornata a piacere: Saraceni, Normanni, Spagnoli. I Normanni soprattutto sono stati dei grandi costruttori; avevano portato con loro il Gotico del Nord; ma lo splendore del Mezzogiorno cambiò presto i loro occhi e divennero come quei pittori di Germania e di Olanda, i quali a forza di percorrere l'Italia perdevano il gusto delle penombre: essi costruirono per la luce con marmi e mosaici in scarlatto e oro, e il Gotico si piegò al nuovo ideale. Produsse dei capolavori che sono tanto lontani da Notre Dame di Parigi quanto i templi dorici. Palermo sola può provarlo. Quando si traversa la città partendo dal mare, si può scorgere un'antica moschea saracena, dalle cupole ancora tinte di rosso; più lontano, nella parte alta del corso Vittorio Emanuele, la strada è limitata a destra da una lunga balaustra che chiude un giardino,alberi di alloro e melograno distanziati secondo il gusto del Mezzogiorno che non ama gli alberi per se stessi, e se ne serve discretamente per far valere l'opera dell'uomo; poi, un po indietro, per un tratto immenso, esposta tutta intera al sole che la colora di giallo, la Cattedrale, l'Assunta, innalza la sua sagoma frastagliata di castello feudale, con le sue cime merlate, le sue torrette e le sue torri. Ignoro quale possa essere stata l'impressione di occhi diversi dai miei; a me è sembrato di vedere trasportata nella luce bionda una facciata di Westminster. A qualche centinaio di metri da li, in mezzo al Palazzo Reale, si apre la Cappella Palatina, il gioiello di Palermo. Ivi è tutta la poesia del Nord e quella del mezzogiorno che si incontrano e si mescolano. Se l'insieme delle sue linee ricorda le origini gotiche, tutto il resto è di un' arte nuova: la fusione meravigliosa della luce del giorno e dei riflessi, che non lascia in piena ombra nessuna parte dell'edificio, il rivestimento dei muri, i mosaici di vetro di un dolcissimo splendore, il finito delle più piccole parti di scultura, di uno spirale nel basso di una colonna, delle penne di uccello in un fregio, particolari inutili o perduti nelle nostre cattedrali del Nord e il cui sorriso leggiero qui non sfugge. » (René Bazin 1894)

Dopo l'unificazione italiana

Nel 1866 si ha una rivolta a carattere anti-unitario, la cosiddetta rivolta del sette e mezzo. Da allora la storia di Palermo ha seguito le vicende di quella italiana, con contributo dei Siciliani a tutte le guerre per l'espansione del territorio. Tra Ottocento e Novecento - grazie ad un gruppo di imprenditori illuminati (Florio, Ingham, Withaker) - Palermo vive una stagione di grande crescita economica e culturale (guadagnandosi l'appellativo di "Floriopoli"). Successivamente, lo scoppio della Grande guerra prima e il fascismo dopo relegheranno la città ad un ruolo marginale nello scenario italiano. Durante la seconda guerra mondiale la città fu vittima di pesanti bombardamenti sin dai primissimi giorni del conflitto, operati dall'aviazione francese e da quella inglese, prevalentemente su obiettivi militari. Con l'intervento degli Stati Uniti, i bombardamenti si fecero disastrosi e indiscriminati, distruggendo interi quartieri, causando molte centinaia di vittime civili ed infliggendo gravissimi danni al patrimonio artistico della città. Dopo la liberazione, la città fu quindi colpita da un intenso bombardamento operato dalla Luftwaffe, che aveva per obiettivo i traffici alleati nel porto di Palermo.

Il dopoguerra

Dopo l'ultima guerra mondiale, nella quale la liberazione dell'Italia ebbe inizio dell'armistizio di Cassibile,e dopo la lotta indipendentista del MIS, dal 1946, Palermo è sede del Parlamento regionale ed è stata proclamata capitale della Regione a Statuto speciale. La sede dell'Assemblea venne posta a Palazzo dei Normanni. Ripresasi dalle distruzioni del secondo conflitto mondiale, Palermo è oggi - anche in virtù del ruolo di capitale della Regione autonoma della Sicilia - una città a forte prevalenza di attività terziaria e caratterizzata da una vivace vita culturale. Oggi il capoluogo siciliano deve la sua rivitalizzazione economica - oltre alle citate attività del settore terziario - ad una buona ripresa del flusso turistico, favorito dal clima particolarmente mite di cui la città gode e dal ricco patrimonio artistico presente sul territorio. Ciò malgrado, la criminalità organizzata continua ad avere un forte impatto sulla città, che continua ad essere afflitta da seri problemi economici e sociali. Le lotte più significative dell'età contemporanea sono state quelle contro la mafia e il banditismo di Salvatore Giuliano, che ebbe il suo regno nelle zone limitrofe di Montelepre; Palermo ha vissuto il peso del dominio mafioso per decenni, caratterizzati dalla speculazione edilizia, dal cosiddetto “Sacco di Palermo”. Nella lotta alla mafia sono stati colpiti uomini dello Stato, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il presidente della Regione Piersanti Mattarella e soprattutto i coraggiosi magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi nelle stragi di Capaci e Via D'Amelio, fino a Don Puglisi, martire nella sua difesa dei deboli nei quartieri più degradati. Oggi Palermo, che s'affaccia su uno dei più bei golfi del Mar Mediterraneo fra Monte Pellegrino e il Capo Zafferano, circondata dalla Conca d'Oro, conta 700.000 abitanti ed è una città desiderosa di riscatto e di ritrovare l'antico splendore. Essa è il centro degli affari e dei commerci più importanti non solo dell'isola, ma con l'Africa e gli altri Paesi che s'affacciano sul Mar Mediterraneo, sede di un'Università d'antiche tradizioni, aperta a molti studenti dei paesi islamici con i quali ha mantenuto antichi legami, forte delle sue origini. La sua espansione urbana è stata notevole, favorita nei collegamenti dall'autostrada che la unisce al resto dell'isola, dall'aeroporto di Punta Raisi e dalle linee marittime recentemente incrementate, ma potrebbe tornare ad essere il centro di collegamento fra il Nord Europa e il continente africano se venissero valorizzati da un turismo intelligente i suoi tesori d'arte e di bellezze naturali.

Miti e Leggende

Dafni figura della mitologia greca, era un pastore di Ragusa. Fu l'inventore del canto bucolico con l'aiuto della zampogna. Molti scrittori antichi definirono la terra dei lotofagi descritta nell'Odissea compresa tra il fiume Ippari e la città di Camarina territorio appartenente agli antichi siculi ragusani.

Preistoria

Il nucleo abitativo di Ragusa ha origini antichissime, nella zona di Fontana nuova, nei pressi di Marina di Ragusa, spetta il primato del più antico ritrovamento di testimonianze umane finora scoperto in Sicilia: in una grotta sono state ritrovate alcuni raschiatoi e lame da taglio in pietra scheggiata, risalenti a 60.000 anni fa. Sono presenti inoltre a Ragusa numerose tracce di frequentazione in età neolitica. Sono presenti nel territorio dei villaggi preistorici risalenti alla Facies Castellucciana, probabilmente abitati dagli antichi sicani. Sono state trovate le prove dell'attività mineraria dei castellucciani; gallerie scavate con l'uso delle mazze di basalto permettevano l'estrazione e la produzione delle richiestissime selci. Queste popolazioni autoctone furono probabilmente sterminate dai siculi, popolo molto più avanzato che colonizzò la sicilia orientale nel 1000 a.C.

Fondazione della città

La leggenda vuole che il principe dei Siculi Iblone giunse sul monte dove sorge l'attuale Ragusa Ibla, lo ritenne comodo e ben protetto, così si stabilì in questo territorio che già ospitava un villaggio abbastanza grande. Esistono varie città col nome Ibla situate in sicilia in epoca greca, ma probabilmente la più importante fu proprio Hybla Heraia detta anche l'Audax. Essa sorgeva in una posizione strategica, capace di resistere a potenti attacchi militari. Infatti, come si può ancora vedere, Ibla è situata su un colle che va da circa 385 (i giardini iblei) ai 440 m (ex distretto militare) di altezza ed è circondata da tre colline che creano un muro di cinta naturale. Il nome sembra che derivi non tanto da un principe siculo, ma dalla misteriosa dea Ibla. Alcuni studiosi sostenono che essa era la protettrice dei campi, altri invece ipotizzano che possa essere stata una divinità protettrice dell'amore e della fertilità. La città dunque fu ricca di santuari dedicati alla dea Ibla e a tale dea gli Iblesi facevano sacrifici animali. Hybla Heraia è inoltre la famosa Ibla Galeota di cui fa riferimento pure Cicerone, descrivendola come un luogo sacro dedito all'interpretazione dei sogni e alle predizioni del futuro. La città non fu mai una colonia greca, i siculi iblei combatterono più volte contro i greci, difendendo fino all'epoca romana la propria indipendenza. Attorno alle rupi fortificate della città, gli Iblei avevano intagliato tombe sepolcrali dove solevano seppellire i combattenti caduti in guerra, allo scopo di ricevere forza e protezione dagli spiriti dei loro defunti quando si trovavano a difendere la propria patria. Plutarco narra che la città fu assediata dagli Ateniesi al comando di Nicia poiché era loro avversaria, ma non riuscirono a conquistarla per la sua forza ed audacia. Il tiranno di Gela Ippocrate, che aveva già conquistato Catania, strinse d'assedio le mura della città nel 491 con un possente esercito. Gli Iblei, mediante una efficace ed ardita sortita fuori le mura fortificate assediate dai Gelesi, sconfissero l'esercito ed uccisero lo stesso tiranno. Nel 450 a. C., Falaride, tiranno d'Agrigento, minacciò più volte col suo esercito l'indipendenza e la libertà del popolo di Ibla. Ma il tiranno venne respinto anche grazie all'aiuto di Kamarina e di Siculi che intervennero con i loro eserciti a combattere gli agrigentini. Grazie a queste vittorie la città acquistò grande notorietà e le fu attribuito l'appellativo di "Audax", Hibla "l'Audace" . L'indipendenza però non ostacolò i contatti e le relazioni commerciali con i greci, anzi ebbe un particolare legame con la colonia greca di Kamarina, quest'ultima infatti era stata colonizzata dai greci, ma rappresentava lo sbocco marittimo degli antichi Iblei. Dunque le due città avevano la stessa etnia, come si può rilevare da monete camarinensi sulle quali assieme alla figura di Ercole con clava sotto la raffigurazione della Luna esistono effigi di Lucertole, allegoria dei Galeoti. Ibla però, rispetto alla sua sorella costiera, si difende fortemente contro le invasioni. L'antico legame si riscontra fin dal 552 a.C., anno in cui l'esercito ibleo venne in aiuto alla città di Kamarina che era assediata da Siracusa a causa della gelosia nutrita per la potenza alla quale era assurta e perché Kamarina vantava la discendenza dalla città barbara ma inespugnabile d'Ibla. L'aiuto di Ibla fu inutile, infatti la città venne rasa al suolo sino alle fondamenta. I siracusani non osarono mai punire gli Iblei per i numerosi aiuti a Kamarina, infatti essi temevano la sconfitta che già altri tiranni avevano visto sotto le mura d'Ibla. I camarinei, decimati dalle varie guerre che distrussero più volte la loro splendida città, si ritirarono lentamente nella loro città patria Ibla, in modo da essere più sicuri dagli sbarchi nemici. In un antico manoscritto si legge: Non me costruxit Camerina perempta, sed auxit nunc Ragusia vocor, sed olim Ibla fui.

Ragusa Romana

Ragusa come la maggior parte delle città siciliane, faceva parte del decumano, ovvero era costretta a pagare le decime. Ciò fa pensare ad un trattamento di favore, probabilmente dovuto al fatto che la città si arrese ai Romani senza combattere. Ma la città soffri, sotto il governo dei Pretori Romani, continue violazioni e spoliazioni: l'antica Kamarina, infatti, si schierò a favore dei Cartaginesi e questo episodio, probabilmente, ebbe ripercussioni pure su Ibla. Durante l'Impero di Vespasiano e di Flavio gli abitanti di Hybla da Decumani vengono dichiarati Stipendiari. Da narrazioni scritte da Plinio durante l'Impero di Traiano, si legge che "Hiblenses" et "Motycenses" (gli abitanti di Modica) sono soggetti a pagare a Roma uno stipendio fisso. A lenire le gravi sofferenze della popolazione è, secondo una tradizione, l'arrivo del Cristianesimo portato dai Santi Paolo e Luca, i quali sbarcati in località San Pieri, a causa di una grande bufera durante il loro viaggio da Malta verso Roma, trasmettono predicando il Vangelo la Fede in Cristo come Redentore dell'umanità. Il culto cristiano quindi si estende dal territorio di Kamarina lungo tutto il litorale sino a Siracusa. Un'altra leggenda vuole in proposito che in una caverna di Contrada Mastro, San Paolo abbia celebrato la prima messa di Ragusa.

Ragusa Bizantina

I Bizantini fortificarono la città costruendovi un imponente castello, a testimonianza dell'importanza che la città aveva nel frattempo assunto.

Ragusa Araba

Ragusa fu assediata per la prima volta dagli Arabi nell'844, ma gli abitanti riuscirono ad allontanare gli invasori. Nell'848 una violenta carestia causò la conquista musulmana di Ragusa. I valorosi abitanti di Ragusa scossero sovente il giogo arabo grazia anche al fortissimo castello surto o appellato, sotto la dominazione bizantina, col medesimo nome della notissima città della Dalmazia. Ma nel quarantotto si arresero senza battaglia al tristo patto di abbandonare tutta la roba ai vincitori.[1] Nell'866 i Bizantini e la repubblica di Genova inviarono delle truppe armate per liberare la Sicilia, i ragusani insieme agli abitanti di Scicli si ribellarono nuovamente agli arabi ma quest'ultimi ritornarono con forze nuove e punirono la città crudelmente. Solo nel 1061 la città si liberò del dominio arabo grazie ad una violenta ribellione, i ragusani inviarono pure dei volontari armati per aumentare le file dell'esercito del gran conte Ruggero che nel frattempo era impegnato nella conquista dell'isola.

Ragusa Normanna

Nel 1091 il Gran conte Ruggero affida la signoria a suo figlio Goffredo. Esso fu fra i più intimi famigliari del padre, inoltre ricevette speciali privilegi nella gestione del feudo. Goffredo infatti come gli altri conti di Ragusa godeva della competenza feudale, percepiva le rendite e soprattutto poteva amministrare la giustizia sia civile che criminale, quello di amministrare la criminale era un privilegio che si dava solo ai pochi vassalli di cui si voleva estendere l'importanza. Secondo le testimonianze dell'epoca, Goffredo dimorava nell'antico castello d'Ibla che assomigliava ad una vera reggia, tanto la magnificenza quasi regale che vi si sfoggiava, anche per gli uffici posti che avevano competenze simili a quelli della corte reale. Infatti risiedeva il Cappellano maggiore, il notaio particolare, uno strategoto per la giustizia criminale, un vicecomite per quella civile e infine un governatore nel caso di assenza del conte. All'epoca una corte simile potevano vantarla solo il conte di Siracusa, quello di Butera, il conte Vescovo di Catania, quello di Lipari e di Paternò. Il secondo conte fu Silvestro secondogenito di Goffredo che ereditò pure la contea di Marsico, il terzo fu Guglielmo che dovette fuggire dalla Sicilia a causa della sua fedeltà al re Tancredi. Lo stesso imperatore di Germania Enrico VI si recò a Ragusa per eliminare ogni stirpe normanna legata a Guglielmo. Intorno al 1093, la città si arricchì di una colonia di cosentini mandatavi dal conte Ruggero. Questi coloni si stabilirono fuori delle mura della città. Probabilmente le prime mura furono costruite in epoca bizantina, lo scrittore arabo Ibn Fadl'Allah lo defini "il più grande e più bello di Sicilia". Durante il periodo normanno fu fortificato e reso praticamente inespugnabile, tanto da diventare la sede del potente conte Goffredo. Era situato in cima al monte d'Ibla dove ora sorge l'antico distretto militare; esso era costituito da quattro poderose torri: la balena, la nuova, la vecchia e quella detta d'Ercole. Inoltre possedeva due baluardi e quattro porte: la Nestoria, la Ferrea, la porta del Pozzo e la Nuova. All'interno si trovavano due piazze d'armi, inoltre le mura erano circondate da un ampio fossato. Sopra una delle porte vi era scolpita una testa di bue con un corno rotto, in memoria della vendetta del conte di Ragusa Manfredi Chiaramonte contro Carlo d'Angiò. A causa del terremoto del 1693 fu parzialmente distrutto ed in seguito venne raso completamente al suolo.

Conti di Ragusa Inizio del Regno Termine del Regno

Goffredo 1091 1120
Silvestro 1120 1163
Guglielmo 1163 1194

Ragusa Sveva

Nel 1194 tutta la Sicilia fu conquistata dall'imperatore Enrico VI, Ragusa e il suo territorio furono incorporati nel pubblico demanio. Federico II popolarmente conosciuto con l'appellativo di stupor mundi successore di Enrico VI, rispettando la tradizione normanna concesse alla città l'elezione di buoni amministratori e quindi il privilegio di fregiarsi dello stemma del quale si fregia tuttora, raffigurante un'aquila ad ali aperte con rostro e piedi rossi, aventi in uno degli artigli il corno dell'abbondanza e nell'altro il caducèo, antico simbolo di pace. In seguito succedette a Federico II il figlio Corrado, al quale succedette il fratello Manfredi ma quest'ultimo fu sconfitto da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia.

Ragusa Angioina

L'intera sicilia fu governata in maniera pessima dai sovrani francesi, tanto da suscitare la famosa rivoluzione dei Vespri Siciliani. A Ragusa la ribellione fu capeggiata dal ragusano Giovanni Prefoglio, il 5 aprile 1282 assaltò insieme ai cittadini il presidio francese uccidendo tutti i soldati.

Ragusa Aragonese

Dopo la cacciata dei francesi venne incoronato lo spagnolo Pietro d'Aragona, il quale rielevò Ragusa a contea, assegnandola proprio a Giovanni Prefoglio. Successe alla sua morte il figlio Federico che fu riconfermato Dominus di Ragusa, però morì senza eredi nel 1286. La contea venne ereditata dalla sorella Marchisia Prefoglio in Chiaramonte, la quale diede in sposo il proprio figlio Manfredi Chiaramonte a Isabella Mosca, figlia del Conte di Modica, nel 1296, dando così vita alla Contea di Modica, che inglobò la Signoria di Ragusa, portata in dote da Manfredi alla moglie.

La Contea di Modica

Manfredi Chiaramonte Signore di Ragusa andando in sposo a Isabella Mosca figlia del conte di Modica, divenne dunque Conte di Modica e riunì le due contee in una sola. Castello principale del conte rimase quello di Ragusa. I conti Chiaramonte erano dunque Conti di Modica e Signori di Ragusa, Comitatus Moahc et terre Ragusie Domini. Essi furono otto: Manfredi I, Giovanni, Manfredi II, Simone, Federico, Matteo, Manfredi III, Andrea. Grazie a loro Ragusa ritornò a godere di quella autonomia concessa ai primi conti normanni, non solo ma la contea di Modica assunse le caratteristiche di una potenza tale da essere considerata Uno stato nello stato. Essi più volte ebbero il coraggio di disubbidire agli ordini del re, conservando ugualmente il potere nella contea. Andrea Chiaramonte temendo per l'indipendenza della contea si oppose violentemente al duca Martino figlio del re di Spagna che sbarcò in Sicilia con un esercito comandato dal generale Bernardo Cabrera, ma Martino riusci ad impadronirsi dell'isola e fece decapitare Andrea a Palermo. I Chiaramonte dunque ebbero come prima signoria proprio Ragusa, ma essa contrariamente alle altre città dell'isola era abitata da tanti altri Signori discendenti dai vari cavalieri normanni al servizio di Goffredo. Questi antichi feudatari vantavano un'antica nobiltà e origine normanna al pari dei Chiaramonte, dunque essi erano tenuti solo a prestare il dovuto servizio militare al conte che poteva essere definito un primus inter pares.

Conti di Ragusa e della Contea di Modica Inizio del Regno Termine del Regno

Manfredi 1296 1321
Giovanni II 1321 1342
Manfredi II 1342 1353
Simone 1353 1357
Federico III 1357 1364
Matteo 1364 1377
Manfredi III 1377 1391
Andrea 1391 1392

Con il diploma del 20 giugno del 1392, il re aragonese Martino concesse a Bernardo Cabrera la Contea di Modica. Quest' ultimo si stabilì nell' antico castello di Ragusa, abitato prima dai Chiaramonte, e che assicurava al Cabrera stessa protezione militare, ma un maggiore sfarzo rispetto a quello di Modica. I ragusani fedeli ai Chiaramonte si ribellarono, ma la rivolta fu soppressa nel sangue, a Ragusa come anche a Modica. I ribelli furono imprigionati, torturati e uccisi. Il nuovo conte godeva di un esercito privato, dotato di armi da fuoco (le prime in Sicilia), nonostante la ribellione elevò Ragusa al massimo prestigio. Essendo del tutto autonoma la contea, il Cabrera comandò più del re, proprio per questo fu chiamato il piccolo re. Sotto di lui la contea si allargò sino a comprendere le seguenti città: Ragusa (residenza del conte), Modica (sede istituzionale della Contea), Scicli, Ispica, Pozzallo, Santa Croce, Comiso, Biscari, Chiaramonte, Giarratana, Monterosso e il territorio di Vittoria (allora questa città non era stata ancora fondata), cioè l'attuale territorio della provincia di Ragusa. Il conte alla fine amato dai ragusani mori di peste e fu seppellito per sua volontà nel 1423 nell'antica chiesa di San Giorgio a Ragusa. Tumulus Comitis Bernardi Cabrera vis primum domini comitatu lector amicae vis regum stirpem celebremque sophum siste pedem; claudit Bernardi tumba Cabrera hic voluit jacent molliter ossa sua. Dopo la morte di Bernardo succedette il figlio Giovanni Cabrera, quest'ultimo amministrò la contea in maniera pessima, nel 1447 i ragusani ormai esausti dalla pessima gestione del conte si ribellarono, assaltarono il castello e bruciarono l'archivio feudale distruggendo inconsciamente tutta la documentazione su Ragusa antica e medievale. I cittadini costrinsero il conte a trasferire la sua residenza a Modica. Ne seguì un processo che rappresenta un unicum nella storia medievale in quanto il signore di un feudo venne messo sotto accusa dai propri sudditi. Il Conte fu costretto a pagare 60000 scudi e a cambiare città di residenza, essendo stato riconosciuto colpevole di duro trattamento contro i Terrazzani. Il conte pagò e venne riconfermato nel suo status di conte con nuovo diploma di investitura di re Alfonso in data 25 febbraio 1457. Proprio da lui che cominciò il famoso frazionamento dei feudi in Enfiteusi in cambio di canoni o in natura o in denaro. Fu cosi che cominciò il lento declino della città di Ragusa. Giovanni Cabrera mori a Ragusa nel 1466, prese il posto suo figlio Giovanni II, che visse nel castello di Modica, dove morì nel 1474, e ivi fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria. In quell'anno la contea passò al figlio Giovanni III, detto Giannotto, il quale morì ancora minorenne sempre nel Castello di Modica nel 1477, mentre in sua vece aveva avuto l' investitura la madre Giovanna Ximenes de Foix. Morto Giannotto senza eredi, la contea fu ereditata dalla sorella Anna Cabrera, andata in sposa nel 1481 a Federico Enriquez, cugino del Re di Spagna. Alla morte della mamma della sposa, nel 1486, Anna e Federico si trasferirono in Spagna, a Valladolid, lì richiamati dal Re Ferdinando il Cattolico, che conferì a Federico Enriquez, conte di Modica, il prestigioso titolo di Almirante di Castiglia, titolo ereditario riservato ai pari dei Re di Spagna. Da allora i Conti di Modica vennero nelle loro terre solo per sporadiche visite, dovute più che altro agli interessi economici da tutelare.

Conti di Ragusa e della Contea di Modica Inizio del Regno Termine del Regno

Bernardo 1392 1423
Giovanni Bernardo 1423 1466
Giovanni II 1466 1474
Giovanni III 1474 1477
Anna I(m. 1526) con Federico Enriquez 1481 1530

Dunque la Contea di Modica passò agli Enriquez-Cabrera, grazie al matrimonio nel 1481 di Federico Enriquez, primo cugino del Re di Spagna Ferdinando il Cattolico, con Anna Cabrera, contessa di Modica in quanto figlia di Giovanni II Cabrera, e sorella di Giannotto, morto prematuramente senza eredi. Le nozze furono celebrate nella Chiesa di Santa Maria del Gesù di Modica, fatta costruire per l'occasione. I coniugi abitarono nel Castello di Modica, come deciso dalla madre di Anna e scritto nei capitoli matrimoniali firmati dal Re di Spagna, fino alla morte di Giovanna Ximenes de Foix, contessa madre, avvenuta nel 1486. Morta Anna Cabrera nel 1526, il conte Federico Enriquez (morto poi nel 1538) donò, nel 1530, la Contea di Modica al nipote Luigi I, sposato con Anna II Cabrera. Dopo il 1486 nessun componente di questa famiglia risiedette più stabilmente a Modica. Luigi II Enriquez venne a Modica ( ...neli XI del mese di iugno...arrivao nela terra di Modica, cum summo tripudio et allegrezza di tucti soi fedeli subditi et vassalli... ) nel 1564, e vi dimorò per due anni, necessari per rimisurare tutte le terre assegnate in enfiteusi, onde recuperare quelle usurpate, che poi provvide ad assegnare nuovamente, racimolando denaro contante, che poi era il solo e vero motivo per cui era venuto a Modica. In seguito, solo Giovanni Alfonso Enriquez nel 1643, mentre ricopriva la carica di Viceré di Sicilia, visitò Modica e Ragusa; a Ragusa venne accolto con grandi feste e giochi popolari simili alla corrida. In suo onore fu costruita la Porta Valter tuttora esistente. Dopo la morte di Giovanni Alfonso Enriquez la contea passò al figlio Gaspare che nel 1692 la donò al primogenito Giovan Tomaso. Quest'ultimo essendo sostenitore di Carlo d'Austria e contrario al re di Spagna Filippo V venne condannato a morte e alla confisca dei beni. Fu cosi che la contea nel 1702 dopo molti secoli d'indipendenza venne incorporata nel pubblico demanio. Nel 1713, in seguito al Trattato di Utrecht che assegnava il Regno di Sicilia a Vittorio Amedeo di Savoia, Filippo V di Spagna riuscì a mantenere l'autonomia del territorio della Contea di Modica, mantenendola in suo possesso come fosse un feudatario! Nel 1720, passato il Regno di Sicilia all' Austria, la Contea ne seguì il destino. Ma nel 1729 fu riammesso nel suo possesso, da parte dell' Imperatore Carlo VI d'Austria, Pasquale Enriquez Cabrera, che la tenne fino alla morte, sopraggiunta nel 1740. Da questo momento, essendo oramai al potere a Napoli i Borboni (dal 1734), la Contea continuò ad esistere solo nominalmente, ma anche quest' ultimo privileggio venne soppresso nel 1816 quando i Borboni abolirono il feudalesimo, emanando la nuova Costituzione.

Conti della Contea di Modica Inizio del Regno Termine del Regno

Federico Enriquez(m. 1538) con Anna Cabrera I 1481 1530
Luigi I Enriquez con Anna Cabrera II 1530 1565
Luigi II Enriquez con Anna Maria Mendoza 1565 1596
Ludovico Enriquez Mendoza con Vittoria Colonna 1597 1600
Giovanni Alfonso Enriquez Colonna con Luisa Sandoval 1601 1647
Giovanni Gaspare Enriquez Sandoval con Elvira Lorenzo de Toledo 1648 1692
Giovanni Tommaso Enriquez Lorenzo con Caterina Anna La Cerda di Segorve 1692 1702
La contea viene incorporata nel demanio 1702 1713
re Filippo V 1713 1720
Pasquale Enriquez Almanza 1729 1740
Maria Teresa Alvarez Enriquez con il Conte Guelves de Sylva y Mendoza 1742 1755
Ferdinando de Sylva Alvarez Toledo 1755 1776
Maria del Pilar Teresa de Sylva Alvarez 1776 1804
La contea viene incorporata nel demanio 1804 1813
Carlo Michele Fitz James Stuart y Stolberg 1813 1835
Giacomo Luigi Fitz James Stuart 1835 1881
Giacomo Fitz James Stuart 1881 1881

Il terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693 rappresenta, assieme al terremoto del 1908, l'evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia Orientale in tempi storici e sicuramente uno dei maggiori di tutta la storia sismica della penisola italiana. L'evento sismico ha provocato la distruzione totale di oltre 45 centri abitati, interessando con effetti pari o superiori al IX grado MCS (scala Mercalli) una superficie di circa 5600 km² e causando un numero complessivo di circa 60.000 vittime e raggiungendo in alcune aree l'XI grado MCS. Lo sciame sismico con le scosse di assestamento, anche forti, si protrasse ancora per circa 2 anni con un numero elevatissimo di repliche (circa 1500 eventi). La notte tra il 9 e il 10 gennaio 1693, fu avvertita una forte scossa di terremoto, che provocò un grande timore tra i ragusani. La notte seguente per paura di una replica, non restarono nelle loro case ma passarono la notte nei campi affrontando una rigida nottata all'aperto, (a gennaio spesso la temperatura notturna scende sotto lo zero, specie nell'altopiano che era la residenza di molti ragusani). Non si udirono altre scosse per cui nella mattinata di domenica 11 gennaio ritornarono contenti in città e molti si recarono nelle chiese per ringraziare Dio. Ma la prima scossa distruttiva arrivò proprio alle 9 del mattino, alle 13,30 si senti un tremendo boato, la terra tremò (XI grado Scala Mercalli) e Ragusa antica e medievale venne completamente distrutta. Morirono cinquemila ragusani su una popolazione di circa dodicimila.

La ricostruzione

Dopo aver sepolto degnamente i migliaia di cittadini morti, recuperate dalle macerie gli oggetti ancora indenni, si pensò immediatamente alla ricostruzione della città. Si tenne dunque un gran consiglio in cui vennero prese in esame tre proposte: la prima prevedeva la ricostruzione nello stesso sito della città distrutta (Ibla). La seconda prevedeva la ricostruzione nella contrada del Patro, ovvero la collina che dolcemente si eleva ad ovest d'Ibla; infine la terza proposta contemplava la riedificazione della città verso sud in contrada Cutalia,un tenimentum di terre infeudato il 12 gennaio 1634 ad Antonino Distefano, ma all'epoca del sisma in possesso di Filippo Distefano b.ne di Cutalia. La terza proposta fu subito scartata in quanto prevedeva il sito in una zona troppo lontana, invece si accese la polemica attorno alle altre due ipotesi. Alcuni cittadini capeggiati dal ceto nobiliare, conservatore e legato alla tradizione, decisero di ricostruire la città nell'antico sito, mentre altri guidati dal ceto borghese ed imprenditoriale, più ardito e riformista, decisero di ricostruire nel nuovo sito di contrada Patro. Molti storiografi si sono chiesti il motivo di questa divisione dei due centri abitati, caso unico in tutto il vasto comprensorio del Val di Noto. Secondo le più avanzate ricerche documentarie, dietro alla singolare scelta non ci fu solamente un conflitto di interessi tra i nuovi ceti imprenditoriali agricoli, i cosiddetti massari, quasi una borghesia ante litteram e l'antica nobiltà, ma ci fu anche un forte contrasto tra gruppi di famiglie che da circa un secolo si contendevano il dominio della città. Infatti a partire dalla fine del XVI secolo il conte non risiedeva più a Ragusa ma a Modica e le antiche famiglie nobili ragusane erano in costante lotta, esistevano dunque due specie di partiti i Sangiovannari e i Sangiorgiari, rispettivamente appartenenti alle due chiese più antiche della città: San Giovanni e San Giorgio. Infatti allora il potere ecclesiastico era strettamente unito a quello politico ed economico, per cui ogni partito difendeva i proprio interessi.

Il nuovo abitato

Nell'estate del 1693 il procuratore generale della contea, don Antonio Romeo y Anderas visitò la città per rendersi conto dei danni. In quell'occasione i cittadini proposero al procuratore l'edificazione nell'abitato del Patro; il procuratore accettò subito la richiesta: "Riconoscendo il sito assai commodo per la fabbricatione sia per la salubrità dell'aere, come per la pianura di sito, commodità dell'acqua, abbondanza delle pietre et altre necessarie circostanze per una commoda abbitatione". Dunque la riedificazione cominciò con la posa della prima pietra della nuova chiesa di San Giovanni il 13 aprile 1694. Tutte le più alte cariche della Contea presenziarono alla cerimonia e lo stesso procuratore generale, in segno di devozione, pose nella buca alcune monete d'oro. Con questa fastosa cerimonia iniziò l'edificazione del nuovo centro urbano, secondo un modello urbanistico a maglia ortogonale. Il maggiore artefice del progetto fu il barone Mario Leggio Schininà insieme alla collaborazione del suo consigliere dott. Ignazio Garofalo. Il nuovo abitato si sviluppò in maniera rapida tanto che nel 1702 una relazione inviata dal commissario del Viceré afferma che "Nel nuovo sito del Patro in questi anni sono state costruite numerose buone case abitate da circa duemila persone, con una pianta ricca di strade larghe e piazze simile a quella di Catania". Ma lo sviluppò continuò durante tutto il XVIII secolo ed il successivo XIX a metà del quale il nuovo abitato aveva una popolazione superiore ai trentamila abitanti. Nel 1843 con la costruzione del Ponte Vecchio la città si poté sviluppare pure verso sud, il ponte infatti permetteva di superare l'ostacolo naturale della vallata S. Domenica.

Il vecchio abitato

La ricostruzione del vecchio abitato fu un po' più lenta, anche perché molte strutture non erano del tutto demolite. Solo nel 1738 venne decisa la ricostruzione della chiesa di San Giorgio spostandola in una posizione più centrale, esattamente nel sito dove sorgeva l'antica chiesa di San Nicola fatta dai bizantini ormai completamente rovinata. Dunque venne incaricato l'architetto Rosario Gagliardi che realizzò la nuova chiesa di San Giorgio e il 25 ottobre 1739 venne posta la prima pietra. Si riedificarono pure tutti gli antichi palazzi delle famiglie più in vista della città come quelli del duca di S. Filippo, Arezzo Grimaldi, poi La Rocca e tanti altri. Nel 1858 si costrui pure il Circolo di Conversazione, l'ultimo intervento di rilievo avvenne agli inizi del XX secolo con la costruzione della strada Castello vecchio, che provocò lo sventramento del palazzo del duca S. Filippo e l'edificazione di tutta l'area in cui giacevano le antiche rovine del castello su il quale sorse il grande edificio del Distretto militare.

Considerazioni socio-economiche della Contea

La contea fin dall'epoca normanna aveva ottenuto la divisione delle terre in enfiteusi, non si ebbe mai la presenza del latifondo e la popolazione fu meno soggetta a tasse o tributi vessatori come nel resto delle altre baronie siciliane. I primi conti furono molto generosi e lungimiranti, mentre gli ultimi anche se non risiedevano più nella contea, ebbero in ogni caso una particolare attenzione: la contea governata da un conte lontano con generosità da sovrano, come scrive il Garofalo. Sempre grazie agli antichi privilegi normanni, la contea possedeva un'amministrazione simile a quella di uno stato sovrano. Vi risiedeva infatti, in Modica, un governatore, un tribunale di Gran Corte ed una curia di appello per le cause civili e penali, un Avvocato e un procuratore fiscale, un protomedico, un protonotaio, il maestro giurato, il maestro portolano, il maestro segreto e un plotone di Alabardieri. Inoltre si aveva la facoltà di nominare notai e aromatari, i contadini potevano essere decorati degli ordini cavallereschi, anche di quello esclusivo dei Gerosolimitani e potevano trasmettere il titolo ai loro successori. Ogni stacco di terra aveva infisso il prezzo da pagare, il possessore non poteva essere in alcun modo espulso se non che alla mancanza di un pagamento. Gli eredi subentravano dopo la morte del possidente; se non c'erano eredi, il terreno poteva essere comprato da terzi. Alcuni conti tentarono di ridimensionare questo ben ordinato sistema di economia agricola, ma la fermezza dei contadini affermò le concessioni perpetue, pure a costo di continui aumenti del canone agricolo.

Regno delle Due Sicilie

Agli inizi del XX secolo anche nel ragusano si diffusero le idee socialiste in modo particolarmente forte rispetto alla regione, da molti storici fascisti Ragusa fu descritta come "un feudo dei rossi, non dissimile da quello di Bologna". A causa di una forte dialettica politica, a Ragusa si impose il fascismo, provocando una risposta violenta analoga a quella padana. Il 29 gennaio 1921 un gruppo di fascisti distrusse il circolo socialista di Vittoria, uccidendo un uomo e ferendone dieci e due mesi dopo a Ragusa furono uccise quattro persone e sessanta rimasero ferite. La città fu la prima siciliana ad avere dato vita questo movimento politico, a tal punto che nella Torre littoria edificata per volere dello stesso Mussolini fu incisa la seguente frase: "Fascismo ibleo Tu primo a sorgere nella generosa terra di Sicilia". In seguito, nel 1927 grazie a Filippo Pennavaria, noto esponente fascista, Ragusa venne istituita provincia. Durante la Seconda guerra mondiale la città venne scossa improvvisamente dai bombardamenti, a partire dal 1942 e per tutto il 1943, a causa della presenza dell'aeroporto militare di Comiso; dalla sua pista partivano i cacciabombardieri dell'Asse. Nel 1943 la costa iblea fu poi teatro dello Sbarco in Sicilia da parte degli Alleati, ritornando comunque rapidamente alla normalità alla fine della guerra. Il 4 gennaio 1945, la giovane Maria Occhipinti diede origine ad una rivolta popolare di protesta contro il richiamo alle armi: la donna, incinta di cinque mesi, si stese a terra, davanti un camion militare; in tutta la città scoppiò una violenta sommossa, soprattutto nelle zone più popolari e in particolare nel quartiere soprannominato Russia. La calma fu ristabilita rapidamente non senza feriti e molti ragusani vennero incarcerati o espulsi dalla città. Il 1 ottobre 1955, con regolare bolla pontificia, la città è stata eretta alla dignità di diocesi, ricavandone il territorio dall'arcidiocesi di Siracusa e dalla diocesi di Noto.

Ragusa Oggi

Oggi Ragusa si presenta come una città dinamica e benestante: è sede di numerose aziende ed enti ed è inoltre il più importante polo finanziario del meridione per la presenza della BAPR che è la quarta banca popolare italiana. Dagli anni novanta l'economia ragusana si sta sviluppando verso il settore industriale che è tutt'ora in rapida crescita in controtendenza rispetto alla situazione italiana; la scarsa presenza d'infrastrutture ha limitato la grande potenzialità di questo territorio che comunque rimane l'area export più importante della sicilia, inoltre la città dal 1993 è sede universitaria.[2] L'11 gennaio del 2006, in ricorrenza del devastante terremoto del 1693, il presidente della repubblica, l'on. Carlo Azeglio Ciampi, ha visitato la città e la provincia.« A Ragusa, antica città, ridotta in rovine da un violento terremoto, risorta grazie allo strenuo impegno dei suoi cittadini che la vollero arricchire di insigni architetture; a Ragusa, la cui bellezza è valsa il riconoscimento dell'Unesco quale patrimonio dell'umanità; a Ragusa estremo avamposto della civiltà italiana ed europea verso il sud del mondo, capoluogo di una provincia che ha raggiunto, grazie alla sua operosità e intraprendenza della sua gente, livelli di sicuro benessere, il mio augurio di saper realizzare ulteriori progressi e di saper conservare il clima sociale di serenità che la contraddistingue »

La città siracusana in Sicilia fu fondata nell'VIII secolo a.C. da coloni greci provenienti da Corinto. Fu città di primaria importanza nella Sicilia greca. Conquistata dai Romani nel 212 a.C., fu capitale della provincia di Sicilia. Ancora importante sotto il dominio bizantino, fu presa dagli Arabi nell'878. Nell'XI secolo fu riconquistata dai Bizantini e passò quindi sotto il dominio dei Normanni. Dopo un breve dominio genovese nel XIII secolo, seguì le vicende di tutta la Sicilia (Regno di Sicilia e Regno delle Due Sicilie, prima, e Regno d'Italia poi).

Fondazione

La fondazione di Siracusa viene storicamente fissata nel 734 o 733 a.C. ad opera di un gruppo di Corinzi guidati da Archia assieme al poeta Eumelo di Corinto, che sbarcati nei pressi del fiume Anapo insediarono nell’isola di Ortigia. Il luogo prescelto era certamente strategico, sia per la posizione geografica al centro del Mediterraneo e quindi degli scambi commerciali, sia per la presenza di caratteristiche naturali invidiabili: doppio porto sicuro, abbondanza di risorse idriche, territorio facilmente difendibile. Il nome della città probabilmente deriva dalla lingua sicula Syraco che vuol dire palude, per la presenza di paludi nell'attuale zona dei Pantanelli, da cui poi la parola greca Syracoùssai. Si hanno infatti tracce di presenza autoctona nei pressi della città sin dal IV millennio a.C., con i villaggi preistorici di Stentinello, Ognina, Plemmirio, Matrensa, Cozzo Pantano e Thapsos, che già da allora avevano allacciato rapporti commerciali con il mondo Miceneo. L'insediamento greco determina quindi la cacciata della popolazione indigena (i siculi) verso l’entroterra, scatenando nei primi periodi una serie di guerre vinte da Siracusa, che man mano rafforzarono il suo potere su territori sempre maggiori.

Siracusa greca (733-212 a.C.)
L'espansione di Siracusa

In questo periodo vengono edificati i templi più arcaici della Sicilia: il tempio di Zeus e il tempio di Apollo oltre ad espandere la propria presenza anche nella terraferma con la creazione delle necropoli arcaiche: la necropoli di Fusco e quella del Giardino di Spagna nei pressi dell'ospedale Umberto I. Nascono quindi le prime colonie di Siracusa da parte di corinzi giunti nei territori siciliani: Akrai (664) nei pressi di Pantalica, Casmene (643) avamposto militare sul monte Lauro e Camarina (598) la più lontana delle colonie che si rese indipendente dalla città-madre nel 553 a.C. grazie ad una ribellione sostenuta anche dai Siculi.
« Acre e Casmene furono fondate dai Siracusani: Acre settant'anni dopo Siracusa, Casmene vent'anni circa dopo Acre. Anche la colonizzazione più antica di Camarina si deve attribuire ai Siracusani, circa centotrentacinque anni dopo che si fondò Siracusa; ne furono nominati ecisti Dascone e Menecolo. »
(Tucidide, La guerra del Peloponneso, Libro VI 5). Nel 492 a.C. Ippocrate di Gela avvio' una campagna di conquista della Sicilia, dopo una vittoria nei pressi del fiume Eloro Siracusa si salvò grazie all'intervento di Corinto e Corcira, per cuì si ebbe un trattato di pace che gli concedeva il possesso di Camarina.

Gamoroi e Killikirioi

In un primo tempo la città era governata dai Gamoroi, discendenti dei primi coloni, proprietari terrieri e nobili. La classe oppressa invece era quella dei meno abbienti (Killichirioi) e dei discendenti dei Siculi, grecizzati dai nuovi conquistatori. A seguito di rivolte scoppiate in città, i Gamoroi, furono cacciati lasciando il potere in mano ai Killichirioi. Ma i Gamoroi in fuga verso Gela, trovarono il sostegno di Gelone, già tiranno di Gela che partito con un esercito entrò a Siracusa nel 485 a.C. per divenire il primo tiranno della città.

Gelone
L'ascesa al potere

Gelone quindi consolido' il suo potere lasciando il governo di Gela nelle mani del fratello Ierone e stringendo un'alleanza con Terone di Agrigento. Sorgono così, al di fuori delle mura, i quartieri di Tyche e Neapolis, e avviata una grande opera di monumentalizzazione della città. Vicino al teatro greco costruì il tempio di Demetra e Kore e il monumento-mausoleo di Gelone fece costruire per se stesso e per la propria moglie Damarete vicino all'Olimpeion, fuori delle mura cittadine: si trattava di una grande costruzione a nove torri, intercalate da una breve cortina muraria. Ma il provvedimento più interessante dal punto di vista urbanistico, fu di spostare l'agorà da Ortigia, ad Acradina nella zona tra piazzale Marconi e il Pantheon dei caduti. Si sviluppa inoltre il Teatro Greco che iniziò ad attrarre anche una vivacissima attività culturale: ne è esempio la presenza di Eschilo, Arione di Metimma e Cinto di Chio che introdussero a Siracusa le recitazioni omeriche, il poeta Epicarmo, e persino la grande poetessa Saffo venuta in esilio da Mitilene.
In questo modo Gelone accresce la presenza greca in Sicilia espandendo i territori della città, allentando anche la pressione dei Siculi e dei Sicani ai confini della capitale greca. Nel 485 a.C. distrusse Camarina deportando i cittadini, stessa cosa fece nel 481 a.C. quando conquistò Megara Hyblaea. Anche da Gela spostò metà della popolazione in modo da accrescere la popolazione della città e rafforzare numericamente anche l'esercito e la marina. « Per cominciare condusse a Siracusa tutti i cittadini di Camarina (di cui rase al suolo la rocca) e li rese cittadini; lo stesso fece con più di metà degli abitanti di Gela. Dei Megaresi di Sicilia, quando, assediati, vennero a patti, trasferì a Siracusa e rese cittadini i benestanti, quelli che avevano scatenato la guerra contro di lui e credevano per questo di fare una brutta fine; i popolani di Megara, invece, che non erano responsabili di questa guerra e che non si aspettavano di subire alcuna vendetta, li condusse pure a Siracusa, ma li vendette fuori della Sicilia. La stessa discriminazione applicò agli Euboici di Sicilia; agiva così nei confronti degli uni e degli altri, perché giudicava il popolino un coabitante assai molesto. » (Erodoto, Storie, Libro VII 156)

La Battaglia di Himera

Dopo le precedenti vittorie belliche a fianco di Terone, divenne inevitabile lo scontro con i Cartaginesi comandati da Amilcare e chiamati da Terillo di Himera. Grazie alla preparazione degli eserciti greci nel 480 a.C., Gelone e Terone riportarono una grande vittoria, che sancì il predominio greco sull'isola. I Cartaginesi infatti dovettero pagare un  pesante indennizzo e - scrive Erodoto - nel trattato stipulato, Gelone inserì che essi dovevano rinunciare ai sacrifici umani e all'immolazione dei figli primogeniti nei tofet. In questo modo i Cartaginesi non tentarono più di conquistar terre in Sicilia per almeno settan'anni. In memoria della vittoria venne eretto il tempio di Athena a Siracusa e il tempio della Vittoria a Himera, e coniata una nuova moneta detta Demareteion, inoltre utilizzando manodopera cartaginese costruì anche l'importante acquedotto Galermi, che consentì a Siracusa un abbondante approvvigionamento di acqua.

La morte

Ma dopo le vittorie, il tiranno di Siracusa riunì il popolo pronunciando un discorso dove elencava le vittorie del suo governo e la grandezza raggiunta dalla città. Poi sorprendendo tutti, disse di rimettere il potere nelle mani del popolo, il quale con un'ovazione lo acclamò ancor auna volta sovrano di Siracusa. Poi anni dopo, per la sua morte Gelone ebbe enormi funerali e l'erezione di una statua e di un mausoleo che glorificava un tiranno entrato nel mito.

Ierone I (478-466 a.C.)

Alla morte di Gelone nel 478, succedette il fratello Ierone che lasciato il trono di Gela lo concesse al fratello Polizelo. Tuttavia proprio per ragioni dinastiche sorse una guerra tra i due fratelli che vide anche come protagonista la città di Sibari. I crotoniani infatti nel 477 a.C. attaccarono la città che chiese aiuto a Siracusa, Ierone quindi nella speranza di liberarsi del fratello Polizelo, lo convinse ad andare in soccorso della città. Purtroppo le fonti antiche su questo evento sono poco chiare, tanto da rendere dubbio l-effettivo intervento militare[6]. Polizelo comunque, scoperto l'inganno decise di muovere guerra contro il fratello e solo con la mediazione del poeta Simonide lo scontro si risolse nel 476 a.C., con Polizelo che si rifugia presso il suocero Terone ad Agrigento. Nel 474 a.C. Siracusa affronta gli Etruschi nelle acque di Cuma, per soccorrere i cumani in difficoltà. Grazie alla potente armata la città riporta una storica vittoria per il destino di Siracusa ma anche per quello della Magna Grecia; con questo successo infatti viene definitivamente arrestata l'avanzata degli etruschi nel mediterraneo in favoce dei Greci. Essi tenteranno successivamente di vendicarsi della sconfitta appoggiando Atene nel corso della Spedizione in Sicilia (415-413 a.C.).
Nel 476 a.C., acquisito il controllo di Leontini Ierone deporta gli abitanti da Nasso e Catania modificando anche il nome di quest'ultima in Aitna facendola amministrare da suo figlio Dinomene. Anche con Ierone la città conosce un importante sviluppo culturale che richiama l’attenzione di personalità come il poeta Simonide, Bacchilide, Epicarmo e Pindaro che esalteranno il reggente nelle loro composizioni. Eschilo scriverà anche la tragedia perduta Le etnee in onore della nuova città ricostruita dal tiranno che rappresentarà per la prima volta al teatro greco assieme a "I persiani". Infine Pitagora da Reggio esegue sculture per il reggente.

Il periodo democratico (466-405 a.C.)
La fine della tirannia

Alla morte di Ierone vi succede il fratello Trasibulo (467 a.C.), che Diodoro Siculo definisce "violento e assassino". Il suo regime sanguinario infatti avrà breve vita proprio per la cattiva gestione del potere. Dopo aver sconfitto Trasideo tiranno di Agrigento figlio di Terone (466 a.C.), una coalizione di insorti siracusani appoggiata da truppe di Akragas, Gela, Selinunte, Imera e persino da soldati siculi rovesciò il potere dispotico per instaurare una giovane democrazia protetta anche dall'introduzione del petalismo. Tuttavia secondo Aristotele la caduta di Trasibulo e quella di Trasideo, furono favorite soprattutto dalle lotte all'interno delle famiglie le quali decretarono la sparizione del regime tirannico dei Diomenidi a Siracusa[8]. La cacciata di Trasibulo da allora fu celebrata ogni anno a Siracusa con sacrifici animali a Zeus Eleutherios.

La riconquista siracusana della Sicilia

Le rivolte democratiche di Siracusa avranno eco in tutta la Sicilia. Nel 452 a.C. il re siculo Ducezio si mette a capo di un movimento di rivolta che libera dal giogo greco Etna, Mineo, Morgantina, Palikè ecc. Ma due anni dopo, una volta riorganizzato il potere centrale della città, Siracusa riprese militarmente il comando delle città "liberate", proseguendo la sua politica espansionistica in Sicilia con interventi persino contro l’isola d'Elba e la Corsica. Tuttavia la città nodale è certamente Lentini, rivale storica tornata nuovamente sotto le mire siracusane. I vari tentativi di conquista costringono la città calcidese a rinnovare l'alleanza con Atene in funzione anti-siracusana in Sicilia e anti-spartana in Grecia (427 a.C.). Questa strategia politica che rientra nel vasto quadro di lotte scaturite dalla Guerra del Peloponneso, suggerisce ad Ermocrate la firma di un accordo di pace con Lentini e la presa di posizione durante il congresso di Gela del 424 a.C. per ribadire l'autonomia delle ex colonie greche di Sicilia dalla madrepatria: allontanando così il pericolo ateniese. Due anni dopo però a Lentini si riaccendono le lotte tra gli aristocratici legati a Siracusa, e i democratici legati ad Atene. Gli aristocratici così si rivolgono a Siracusa, che interviene immediatamente determinando la distruzione della città e facendone disperdere gli abitanti. I nobili verranno trasferiti a Siracusa ottenendo la cittadinanza, ma dopo alcuni anni non contenti del trattamento che riserva loro la nuova patria, fanno ritorno in città ed allearsi con i vecchi avversari politici, i democratici. All'orizzonte così si avvicina una nuova guerra per Siracusa, questa volta contro Atene.

La spedizione ateniese in Sicilia

Rispondendo positivamente alle richieste di aiuto di Segesta nella guerra contro Selinunte alleata di Siracusa, e dagli esuli di Leontini che chiedono di essere rimessi nella loro città ha inizio la spedizione ateniese in Sicilia. Nel 415 a.C. giunse in Sicilia una flotta di 250 navi e 25.000 uomini. Dopo un primo periodo di vittorie ateniesi la spedizione si trovò in difficoltà a causa della valorosa difesa approntata dal generale spartano Gilippo. Nel frattempo Ermocrate viene eletto Stratega, e successivamente (estate 414 a.C.) ne vengono rimossi due per sospetto tradimento e sostituiti con uomini di Diocle[9]. Giunsero così nuovi aiuti nel 414 a.C. e nel 413 con un esercito guidato da Demostene, non riuscirono a piegare la coalizione in difesa di Siracusa. Gli Ateniesi così persero completamente la guerra subendo 7000 prigionieri rinchiusi nelle Latomie siracusane, dove la maggior parte di essi morì e l'ingiuria dei sopravvissuti che marchiati come cavalli vennero venduti come schiavi, i comandanti Demostene e Nicia furono invece giustiziati. La grande vittoria verrà onorata con importanti festeggiamenti annuali. Terminata la guerra Diocle attuò una serie di riforme sul modello ateniese ed un codice di leggi, favorito in ciò dall'assenza di Ermocrate, impegnato al comando di una flotta in aiuto di Sparta: fu approvata una nuova costituzione e nuove forme di governo e l'amministrazione della giustizia attraverso tribunali regolari.

Gli scontri contro Cartagine

Nel 410 a.C. si riaccese il conflitto tra Selinunte e Segesta, quest'ultima attaccata nuovamente ottenne l'aiuto dei Cartaginesi comandati da Annibale Magone che distrusse completamente Selinunte. Annibale marciò poi verso Imera dove si scontrò con l'esercito siracusano comandato da Diocle. Dopo pesanti scontri i Siracusani si ritirarono a causa di un sospetto attacco contro la madrepatria che risulterà falso. Gli Imeresi rimasti ormai da soli furono costretti alla fuga, messi in salvo dalle navi siracusane verso Messina, ma la metà di essi perì con la conquista cartaginese. Annibale fece quindi ritorno in patria e sciolse il suo esercito.
Intanto Ermocrate, che era stato destituito dal comando della flotta dell'Egeo, con un piccolo esercito di profughi e mercenari e una flotta di cinque navi si insediò a capo di quel che rimaneva di Selinunte e attaccò le città cartaginesi di Mozia e Palermo ottenendo una serie di vittorie (408 a.C.). Subito dopo raccolse le spoglie dei caduti di Imera che Diocle aveva colpevolmente abbandonato, e provando a fare leva sulla pietà del popolo provò a rientrare in città senza successo. Siracusa in quel periodo era in pieno caos, la democrazia era fortemente indebolita e Diocle venne mandato in esilio per il suo comportamento contro i cartaginesi. Nel 406 a.C. dopo le incursioni di Ermocrate i Cartaginesi decise di tentare la conquista dell'intera Sicilia, nonostante l'avvio di negoziati per evitare la guerra. Annibale Magone quindi ripartì, alla conquista delle città greche della costa meridionale siciliana con un esercito di Libi, Maurusi, Iberi, Fenici, Campani e Numidi. Dopo aver vinto una piccola battaglia navale nei pressi di Erice, i siracusani intuirono l'intenzione di una vasta campagna punica nell'isola. Per questa ragione inviarono richieste d'aiuto alle città greche d'Italia ed a Sparta senza successo. Annibale quindi assediò Akragas, cui aveva chiesto di allearsi o restare neutrale. Ma gli Agrigentini respinsero l'attacco e lo stesso Annibale morì in un'epidemia di peste che divampò nell'accampamento cartaginese. Il vice di Annibale, Imilcone, riuscì a risollevare gli animi nell'accampamento cartaginese, ma dovette fronteggiare l'arrivo di 35.000 siracusani. Nella battaglia i Cartaginesi ebbero la peggio e persero 6.000 uomini. I generali agrigentini non sfruttarono però l'occasione per rompere l'assedio ed attaccare i Cartaginesi in ritirata. Poco dopo una flotta di Imilcone, riuscì ad ottenere una grande vittoria contro un convoglio di navi siracusane che portavano provviste ad Agrigento. I mercenari campani e gli alleati greci che difendevano Akragas, giudicando disperata la situazione, decisero allora di abbandonare la città e Akragas cadde nel dicembre del 406 a.C. dopo sette mesi di assedio.
Conquistata Akragas, Imilcone pose l'assedio a Gela. Gli abitanti di Gela resistettero fino all'arrivo di Dionisio I, nuovo tiranno di Siracusa, che era giunto in soccorso con un esercito di cira 30.000 fanti, accompagnato da una flotta di 50 navi. Dopo uno stallo di qualche settimana di fronte alle mura di Gela, Dionisio tentò un assalto di sorpresa all'accampamento punico, ma l'attacco venne respinto. Dionisio I, visto il fallimento della sua offensiva, decise di evacuare nottetempo tutta la popolazione di Gela e successivamente anche quella di Camarina, visto che non sarebbe riuscito a difendere nemmeno questa città. Imilcone poté quindi occupare le due città sulla strada di Siracusa senza colpo ferire.

La nascita della retorica e lo sviluppo delle arti

Nel periodo democratico il confronto e la libera espressione favorisce la nascita e lo sviluppo dell'arte retorica e dell'oratoria, i cui massimi esponenti sono Corace e Tisia. La letteratura e le arti si affermano con Sofrone inventore del mimo, composizione in versi non destinata alla scena. La città quindi diviene il centro culturale della Sicilia e dell'intera area greca del mediterraneo.

Dionisio I

Nel 405 approfittando del caos generato dall'avanzata dei Cartaginesi, Dionisio I riesce a prendere il potere come tiranno, cancellando di fatto il governo democratico. Egli salì al potere in un momento difficile poiché dopo la conquista di Akragas, Imilcone pose l'assedio a Gela che pur col soccorso di 30.000 uomini da parte del nuovo tiranno e il fallimento dell'offensiva, optò per l'evacuazione della popolazione gelese e successivamente anche per quella di Camarina. In questo modo i Cartaginesi giunsero fin sotto le mura di Siracusa assediandola. Fu grazie ad un'epidemia che fece perdere a Imilcone la metà dei suoi uomini a costringerlo a offrire un trattato di pace nel 404 a.C. I Cartaginesi avrebbero conservato l'egemonia sui territori dei Sicani e degli Elimi; le città conquistate potevano essere ripopolate a patto di non erigere mura difensive e pagare un regolare tributo a Cartagine; Leontini, Messina e tutte le altre città siceliote e sicule rimanevano libere di reggersi con proprie leggi. Imilcone tornò trionfalmente in Africa e sciolse il suo esercito. Dopo la partenza dei Cartaginesi Dionisio prova a recuperare le forze. Trasforma Ortigia in una fortezza, amplia la flotta navale riordinando gli arsenali e il porto piccolo “Lakkios”. Inoltre porta avanti la sua opera più grande, la costruzione a tempo di record (dal 402 a.C. al 397 a.C.) di un’ampia cinta muraria lunga 27 km, che cingeva tutta la città ricongiungendosi al Castello Eurialo. Dopo il rafforzamento e l’ampliamento sul territorio della Sicilia orientale distruggendo Naxos, Catania e Leontinoi, i siracusani si prepararono nel 397 ad affrontare nuovamente i Cartaginesi. Siracusa conquista e successivamente perde Mozia, mentre Imilcone sottomette Lipari e Messarion, giungendo a Siracusa e sottoponendola ad un duro assedio. Egli riesce anche a penetrare nei sobborghi di Acradina saccheggiando il santuario di Demetra e Kore. Ma grazie al dilagare di una pestilenza la supremazia cartaginese viene preclusa, Dionisio sconfigge Imilcone giungendo nel 392 ad un trattato di pace che gli permette un programma di espansione in Sicilia. Fonda così nuove città: Adrano, Tauromenio e Tindari, conquista Rhegion e fonda le colonie di Ancona (ove vanno a risiedere coloro che volevano un ritorno alla democrazia) e Adria, mentre a Lissa attacca l’Etruria e la Corsica. Dionisio non è famoso solamente per le sue imprese belliche o le imponenti costruzioni, ma anche per l’interesse per le lettere, la filosofia e le arti; proprio sotto il regno di Dionisio, ospiterà il filosofo Senocrate, ma anche Platone il quale tornerà più volte a Siracusa. « Gli fu chiesto anche in che modo Dionisio trattasse gli amici, e così rispose: «Li tratta come sacchi: li appende se son pieni, li butta se son vuoti». Ed ancora a chi gli rimproverava che da Dionisio aveva ricevuto danaro, mentre Platone aveva preso un libro, rispose: «Io ho bisogno di danaro, Platone di libri». » (Diogene, Vita dei filosofi) Dionigi II e la repubblica di Timoleonte  A succedergli fu il figlio Dionisio II, che sotto la tutela dello zio Dione concluse una pace con i Cartaginesi, cercando di attenuare la pressione delle altre città ostili. A seguito di un dissidio tra Dionisio II e Dione, quest'ultimo nel 357, intenzionato a porre fine alla tirannide, si mette a capo di un piccolo esercito e si impadronisce del potere. Ma l’impopolarità delle sue azioni di governo decretano una rivolta cittadina e il suo assassinio nel 354 a.C. Tornato al potere Dionigi II, Corinto inviò una spedizione guidata da Timoleonte il quale rovescia ancora una volta il potere della città instaurando una democrazia. Proprio per ripristinare un clima democratico Timoleonte condusse la demolizione dei palazzi fortificati dei tiranni siti nell'isola di Ortigia. Indebolita l’influenza di Siracusa per gli incessanti scontri interni di potere ed esterni con le forze nemiche, Timoleonte provò a riconfigurare la mappa politica della Sicilia. Dopo un importante successo nel 339 a.C. sui Cartaginesi presso il fiume Crimiso, svolge un’opera di pacificazione. Ma dopo la sua morte, le lotte tra oligarchie aristocratiche e difensori della democrazia, aprono la strada ad un altro tiranno, Agatocle, che nel 316 si impadronisce della città con un colpo di stato.

Agatocle

Agatocle riprende la guerra contro i Cartaginesi, con alterne sconfitte e vittorie, ma con l’audacia di volerli attaccare per la prima volta in patria, infliggendo grosse perdite. Tuttavia è costretto a siglare un accordo di pace e a spostare i suoi interessi sul suolo italico.

Ierone II

Dopo la sua morte viene invocato l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro, che viene in soccorso della città greca per salvarla dalle continue minacce Cartaginesi. Ma si affaccia sulla scena politica Ierone II, il quale, dopo essersi inizialmente alleato con i Cartaginesi per far fronte alla crescente minaccia dei Romani, stipula infine una pace separata con gli ultimi, determinando un cinquantennio di pace e prosperità. Egli favorisce il riordino legislativo proposto da Diocle, un nuovo ordinamento tributario la “lex Hieronica”, adottata successivamente anche dai Romani in Sicilia. Vengono apportati significativi interventi urbanistici: l’ampliamento del Teatro Greco e la costruzione di un immenso altare sacrificale, l’Ara di Ierone. Sono anche progettate e costruite diverse macchine belliche, grazie anche al genio inesauribile di Archimede. Il rifiorire delle arti e delle lettere con figure di spicco come Teocrito, rende Siracusa una delle più importanti capitali del mondo antico.

Geronimo

Alla morte di Ierone II succede il giovane Geronimo che erroneamente muta politica e rompe la pace con i Romani. Questa rottura determina l’assedio Romano posto dal console Marcello nel 212 a.C. alla città. La strenua difesa di Archimede e delle sue invenzioni non salva però la città dal tradimento di pochi cittadini, che permettono l’espugnazione della città due anni dopo, con il conseguente saccheggio e il drammatico epilogo dell’uccisione di Archimede.

Siracusa Romana

Inizia così un lungo declino. Dietro un arrogante malgoverno e le sistematiche spoliazioni del patrimonio artistico da parte di Verre, Siracusa mantiene solo il titolo di capitale della provincia romana di Sicilia e sede del pretore. Fondamentale porto di scambi commerciali tra Oriente e Occidente, vede la venuta di S. Paolo e S. Marziano (primo vescovo di Siracusa), che soffermandosi in città per operare del proselitismo, radica la religione cristiana, facendo diventare la città il primo avamposto d’occidente. Con l’epoca delle persecuzioni cristiane, sino all’editto di Costantino nel 313, vengono costruite imponenti catacombe, seconde solo a quelle di Roma. Le successive scorrerie barbare impoveriscono ulteriormente la città, sino al 535 quando entra a far parte con la conquista di Belisario dell’Impero d'Oriente, divenendo dal 663 al 668, residenza dell’Imperatore Costante II di Bisanzio, nonché metropoli di tutte le chiese della Sicilia.

Siracusa araba

Dall’827 inizia la conquista araba in Sicilia. Dopo l’invasione di Mazara, l’avanzata araba giunge a Siracusa nel 878, determinando un atroce assedio che si risolverà con la caduta e la razzia della città. Ridotta ormai alla sola Ortigia, con gli Arabi Siracusa diviene capoluogo del Val di Noto, cedendo definitivamente a Palermo il ruolo di capoluogo politico-amministrativo dell'isola. Durante la dominazione, Siracusa conosce probabilmente la conversione del duomo in moschea, e la modificazione urbanistica di alcuni quartieri storici dell’isolotto, con un impianto tipicamente arabo[14]. Tuttavia la città mantiene vivaci scambi commerciali, e una discreta attività artistica da parte di scrittori e artisti arabi che ne decantano la bellezza. Tra di essi si ricorda il poeta arabo-siracusano Ibn Hamdis.

Siracusa medievale
I Bizantini

Il Castello di ManiaceSolo nel 1038 il generale Bizantino Maniace riconquista la città, lasciando il segno della sua venuta con la costruzione dell’omonimo castello sulla punta di Ortigia (anche se la sua costruzione è posteriore, di epoca Sveva) e l'invio a Costantinopoli delle reliquie di S. Lucia.

I Normanni

Nel 1086 inizia la dominazione normanna a Siracusa, divenuto caposaldo della cacciata araba dall'isola. La città diviene una roccaforte militare, grazie alla sua posizione strategica. La politica del re Ruggero I di Sicilia determina la costruzione di nuovi quartieri nell’isola e il rimaneggiamento della cattedrale, nonché il restauro di diverse chiese, seguendo una politica di rinascita cristiana.

Federico II

Dopo un breve periodo di dominio Genovese (1205-1220), che favorisce l'incremento del commercio, la città viene conquistata nel 1221 dall’imperatore svevo Federico II. Viene quindi rafforzata la sua posizione di bastione militare, si avvia la costruzione del Castello Maniace, nonché l'edificazione di diversi edifici: il primo impianto di palazzi storici come quello Vescovile e il palazzo Bellomo.

Gli aragonesi

Dopo la morte di Federico II, segue il breve regno di Manfredi, fino al 1266, quando con la sconfitta di quest'ultimo a Benevento, la città passa con il resto della Sicilia a Carlo d'Angiò. Nel 1282, nel contesto della rivolta dei Vespri Siciliani, i Siracusani cacciano gli Angioini dalla città e si ereggono a libero comune eleggendo a propri governatori Luigi Callari e Calcerano Selvaggi. L'intervento di Pietro III d'Aragona pone l'inizio alla dominazione aragonese dell'isola. Sorgono svariati palazzi nobiliari con i nomi delle rispettabili famiglie: Abela, Chiaramonte, Nava, Montalto. La città riacquista un po' di lustro con l'istituzione, nel 1361, della Camera Reginale (una sorta di stato dentro lo stato) e la presenza della regina Costanza.

Caravaggio a Siracusa

Nel 1609 Caravaggio fugge da Malta e sbarca a Siracusa fu ospite del pittore siracusano Mario Minniti, suo amico di vecchia data. Durante la sua permanenza si interessò molto all'archeologia studiando i reperti ellenistici e romani della città, e dopo aver visitato assieme allo storico Vincenzo Mirabella dopo aver conosciuto la leggenda siracusana legata al tiranno Dionisio il grande coniò il nome di"Orecchio di Dionigi" per descrivere la Grotta delle Latomie sotto il Teatro Greco. Durante questo soggiorno gli fu commissionato per la Chiesa di Santa Lucia una pala d'altare del Seppellimento di santa Lucia la cui ambientazione sembra proprio quella delle vicine latomie.

Tra Spagnoli e Asburgo

Gli avvenimenti successivi determinano un continuo passaggio di poteri e dominazioni: gli spagnoli, gli Asburgo, poi nuovamente gli spagnoli. In questi anni sono da annoverare i lavori di fortificazione e la definizione di città "Piazza d'armi" dal 1678; questa condizione peserà soprattutto sulla popolazione, gravata da pesanti tasse e servitù militari, determinando un ulteriore spopolamento urbano.

Siracusa barocca
Il terremoto del 1693

Il disastroso terremoto del 1693 segnerà la storia urbana di tutta l'area del Val di Noto, poiché proprio in questa fascia comprendente oltre a Siracusa anche le città di Noto, Avola, Ragusa, Modica, fino a Catania, il sisma porta ovunque morte e distruzione. La città rasa al suolo, si inizia l'opera di ricostruzione prendendo l’assetto urbanistico ed estetico barocco. Vengono ricostruiti molti palazzi nobiliari, la facciata del Duomo e ridefinita la forma dell’antistante piazza; si assiste alla rinascita delle chiese.

Le altre dominazioni

Nel 1700, alla morte di Carlo II, si comincia una guerra di successione che porta un ulteriore passaggio di poteri dagli spagnoli, ai Savoia, agli Austriaci sino ai Borbone di Napoli, che affossano ulteriormente l’economia della città mantenendo una gestione feudale e antimoderna. Nel perdurare di questo stato di cose, nel 1837 la diffusione del colera e le dicerie sulla sua presunta diffusione provocano una rivolta antigovernativa, decretando una pesante punizione alla città: lo spostamento del capoluogo a Noto dal 1837 sino al 1865 (dopo l'Unità d'Italia). La perdita di questo privilegio acuisce le tensioni antiborboniche, determinando la partecipazione dei siracusani ai moti rivoluzionari del 1848. Nel 1780 il vescovo Alagona inaugura il Museo del Seminario divenuto, nel 1808, Museo Civico presso l'Arcivescovado, nucleo fondante di quello che sarà il museo archeologico della città.

L'epidemia del 1837

Nel luglio del 1837 scoppiò in città un'epidemia di colera. I magistrati e i funzionari cittadini abbandonarono nel panico la città che precipitò in uno stato di anarchia. La folla inferocita considerò l'epidemia come il risultato di un avvelenamento da parte di cittadini stranieri e scatenò una rivolta ed una vera e propria caccia all'untore. La rivolta culminò con l'arresto di Giuseppe Schwentzer, francese che si trovava in città per effettuare un'esibizione di cosmorama, la sua giovane moglie e molte altre persone innocenti. Schwentzer venne sottoposto ad un processo farsa in cui veniva accusato di aver sparso in città un potente veleno. Egli, nel disperato tentativo di non essere giustiziato, accusò di avvelenamento il cittadino tedesco Bainard, il quale però riusci a scampare alla morte, non trovandosi in quel momento a Siracusa. In seguito Schwentzer si assunse le sue responsabilità, pur essendo innocente, e fu condannato insieme ad altri capri espiatori per cospirazione contro la Stato. Il 18 agosto Schwentzer, sua moglie e altri innocenti per un totale di 14 persone furono prelevati dal carcere, condotti in Piazza Duomo e barbaramente assassinati dalla folla.

Siracusa post-unitaria

Solo con l’Unità d’Italia Siracusa riacquista il proprio ruolo di capoluogo, nel 1865. Ciò favorisce una progressiva spinta urbanistica con drastici interventi di modificazione del suo assetto. Dal 1870 vengono abbattute le mura che la cingono interamente e viene costruito il ponte che collega l’isola alla terraferma; l’anno successivo inizia la costruzione della ferrovia, con la stazione centrale situata a est della città e con una stazione marittima, che permette il facile scambio dei passeggeri con le linee di navigazione, allora importanti, del porto di Siracusa. Inizialmente di avverte una positiva crescita dei collegamenti della città con l'entroterra e con il nord. La scelta del tracciato, ai margini del tessuto urbano, si rivelerà negativa a partire dagli anni '60 del Novecento, quando l'espansione verso nord della città sarà condizionata drasticamente dalla cosiddetta "cintura di ferro". Nasce nel 1872 l’attuale piazza Archimede, a seguito di un intervento di sventramento, cui seguiranno altri, come quello del quartiere storico di Ortigia, la Sperduta e il taglio della via del Littorio, oggi Corso Matteotti, in epoca fascista. Grazie al Decreto Regio del 17 giugno 1878 viene sancita la nascita del Museo Archeologico Nazionale di Siracusa, inaugurato nel 1886 presso la sede storica di piazza Duomo.

Epoca fascista

Negli anni del fascismo Siracusa conobbe un rinnovamento urbanistico, l'abbattimento di diversi edifici in Ortigia e la creazione della già citata via del Littorio. Inoltre grazie ai rinvenimenti di Paolo Orsi furono eseguiti gli scavi presso l'attuale Tempio di Apollo. Durante la Seconda guerra mondiale la città subì diversi bombardamenti, ne sono testimonianza i diversi rifugi antiaerei recentemente aperti al pubblico. La città fu liberata dal regime fascista il 10 luglio del 1943 con l'Operazione Ladbroke condotta dalle armate anglo-americane sbarcate nelle spiagge del territorio siracusano. Il 3 settembre presso le campagne di Cassibile fu firmato l'Armistizio con cui l'Italia cessava le ostilità contro le forze alleate.

Siracusa odierna
Il santuario della madonnina delle lacrime

Nel dopoguerra il rapido processo di industrializzazione nell’area a nord della città, dalla periferia di Augusta alla zona di Targia, con l’apertura di stabilimenti chimici e grosse raffinerie di petrolio, induce un inatteso ma squilibrato sviluppo economico[19]. La città aumenta la sua popolazione per immigrazione interna, espandendosi però in maniera disordinata a causa delle molteplici speculazioni edilizie.
Dal 29 agosto al 1º settembre 1953 il un'abitazione nel quartiere borgata avviene la lacrimazione di un quadretto della Madonna. L'episodio si ripeterà più volte, attirando l'attenzione di giornalisti e fedeli. Per l'occasione il quadro verrà esposto in maniera temporanea in piazza Euripide, per poi venire spostato nel futuro Santuario della Madonna delle Lacrime progettato nel 1957 i cui lavori inizieranno nel 1966 per terminare nel 1994 attraverso l'inaugurazione del tempio avvenuta il 6 novembre 1994 alla presenza di Giovanni Paolo II. Negli anni sessanta e settanta, la città, anche grazie all'impegno dell'ex arbitro Concetto Lo Bello in giunta comunale, si dota di impianti sportivi all'avanguardia: il Campo scuola "Pippo Di Natale" e la Cittadella dello Sport, oggi a lui dedicata. Lo Bello pose inoltre le basi per il costruendo Palasport, e per la Palestra polivalente "Akradina", il cui completamento è avvenuto solo di recente. Nel 1979 la frazione di Priolo Gargallo si è distaccata divenendo comune a se stante. Nel 1988 è stata inaugurata la nuova struttura del Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi presso la Villa Landolina. L'atteso ampliamento del secondo piano è stato inaugurato nel 2006. Negli anni novanta fu prevista la costruzione di un porto turistico previsto nell'area antistante l'attuale parcheggio Talete in Ortigia: fu poi costruito solo un molo in violazione alle norme d’impatto ambientale. Nella stessa zona non decollerà mai neanche il progetto di un tunnel sottomarino che potesse collegare Ortigia alla terraferma. Nella notte del 13 dicembre 1990 la città fu colpita da un violento terremoto che rese inagibili molte abitazioni e costrinse alla chiusura di parecchi monumenti e chiese della città. Il successivo stanziamento di fondi post-sisma ha permesso negli ultimi anni il recupero e la fruizione di molti immobili danneggiati. L'aumentata sensibilità sul rischio sismico in città, determina alcune misure di prevenzione tra cui il restauro e il consolidamento statico del ponte umbertino. Per ovviare alle restrizioni di traffico viene montato un ponte Bailey dal genio militare per tutta la durata dei lavori. Tuttavia il passaggio (non autorizzato) di un camion determina il crollo del ponte e la morte del conducente.

Anni 2000

Dopo decenni di abbandono e il progressivo degrado del centro storico di Ortigia, è cominciata di recente un’opera di recupero e restauro dell’isola. Di fondamentale importanza il progetto Urban di riqualificazione urbana con cui è stato parzialmente rilanciato il commercio e la vivibilità urbana dell'isola. Inoltre il progressivo smantellamento della vecchia cinta ferroviaria e il tentativo di rilancio e riconversione dell’economia siracusana, dall’industria chimica a quella turistica ha modifica gli assetti economici della città.

Il terzo ponte di Ortigia

Nel 2004 viene costruito il terzo ponte in Ortigia, detto di Santa Lucia, il quale modificherà il traffico in ingresso nell'isola. Nel 2005 assieme al sito di Pantalica, Siracusa diviene ufficialmente patrimonio UNESCO. La cerimonia verrà eseguita alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nello stesso anno viene istituita l'Area naturale marina protetta del Plemmirio.

Origini

Le origini di Trapani affondano nella leggenda. La morfologia peculiare dell'area geografica e la vicinanza con Eryx ne fecero ben presto un topos letterario piuttosto ricercato. La mitologia vuole che la città di Trapani sia stata originata dalla falce caduta a Cerere mentre sul carro trainato da serpi alati correva per il mondo alla ricerca della figlia rapita dal dio Ade: la falce caduta in mare si mutò in una lingua di terra arcuata sulla quale sorse una città, per tale forma detta appunto Drepanon ("falce" in greco antico). Secondo un'altra tradizione mitologica, Trapani sarebbe invece sorta dalla falce caduta dalle mani di Saturno dopo aver evirato il padre Urano. Saturno era anticamente il dio patrono di Trapani e ancora oggi si può ammirare una statua che lo ritrae posta a ornamento della fontana che si trova in piazzetta Saturno, nel centro storico. Per altri ancora, Trapani nacque dall'amore sorto tra il cielo e il mare. Per alcuni ricercatori, tra cui l'inglese Samuel Butler, Scherie, la città dei Feaci descritta nell'Odissea di Omero sarebbe proprio l'odierna Trapani. Nell'Eneide, fra le avventure dell'eroe troiano Enea, Virgilio racconta quella che lo portò a Drepano (Trapani) in Sicilia, accolto da Aceste, figlio di Crimiso e di Egesta. Qui morì Anchise e qui il pio eroe ne seppellì la salma sul monte Erice tornandovi successivamente dopo la fuga da Didone e celebrando con giochi grandiosi la memoria del genitore, giochi chiamati ludi novendiali, che potrebbero essersi svolti nella piana di Pizzolungo, alla periferia di Trapani. Questa narrazione accredita l'ipotesi che ai tempi di questi giochi esistesse già il piccolo borgo drepanitano. Al di là delle suggestioni mitologiche, è storicamente accertato che Trapani fu fondata dagli Elimi in una data sicuramente anteriore alla caduta di Troia (1260 a.C.). Dunque, gli Elimi, originari abitanti di Erice, fondarono in pianura un villaggio in prossimità del mare e delle terre coltivate per stabilire un centro di collegamento tra la vetta - in cui essi risiedevano e si rifugiavano per ripararsi da eventuali attacchi esterni - e il posto di lavoro, dove si dedicavano all'agricoltura e alla pesca dalla terraferma. Quando nel IX secolo a.C. i Fenici dalla vicina Cartagine si mossero verso le coste occidentali della Sicilia, trovarono già costruito dagli Elimi il borgo di Trapani e con questi ultimi lo abitarono pacificamente. Il piccolo villaggio di Trapani doveva sorgere su un promontorio, quasi un'isola, più o meno corrispondente all'attuale quartiere di San Pietro (o Casalicchio), diviso dall'entroterra paludoso mediante un canale navigabile che metteva in comunicazione il mare di Tramontana con quello di Mezzogiorno. Con la creazione della colonia fenicia il villaggio doveva contare meno di 500 abitanti. L'immigrazione dei Sicani prima (già insediati nella Sicilia occidentale), e dei Fenici e dei Cartaginesi poi, fece di Trapani una città-emporio per la sua felice posizione geografica.

L'influenza cartaginese

Quando nell'VIII secolo a.C. i Greci fondarono le prime colonie in Sicilia, i Fenici lasciarono che occupassero la parte orientale dell'isola mentre loro si concentrarono nella zona occidentale. Durante l'influenza punica, Trapani rimase sempre città libera e alleata: si adornò di monumenti, si sviluppò commercialmente, si sganciò politicamente da Erice, molto probabilmente coniò moneta ed ebbe un fiorentissimo cantiere navale. Durante le guerre contro i Greci e Siracusa, Trapani si fortificò e si mantenne saldamente legata alle sorti di Cartagine. Da piccolo borgo, gradualmente giunse a essere una città murata di forma quadrangolare con un perimetro di più di un miglio, tutta circondata dal mare tranne che nella parte orientale. Due porte aperte nel muro di levante assicuravano l'ingresso in città dalla parte di terra. In vista dello scontro epocale con Roma, il generale Amilcare - uno dei più grandi capi militari di Cartagine - fortificò la cinta muraria e il promontorio situato nella penisola posta alla fine della baia più estesa e dotata a meridione di un profondo e vantaggioso porto naturale, trasferendovi una parte degli abitanti di Eryx. Poco prima del 260 a.C., Trapani subì dunque un nuovo allargamento, alcune torri del vecchio sistema difensivo furono abbattute, mentre se ne fabbricarono delle nuove. Amilcare fece costruire il Castello di Terra con la relativa torre a levante della città, mentre a salvaguardia del porto fece costruire Torre Pali e la Torre Peliade o Colombaia. A quel tempo, la città raggiunse una popolazione di circa 3000 persone. Verso il 250 a.C., Drepano (Trapani) era una delle ultime due roccaforti cartaginesi in Sicilia e poiché l'altra, Lilybaeum (l'odierna Marsala), era assediata dai Romani, il generale Aderbale, prima di tentare di rompere l'assedio, decise di portare le sue nuove truppe ad addestrarsi all'ombra del Monte Erice.

Dai romani alla dominazione spagnola

L'importante posizione strategica di Trapani fu utilizzata durante la Prima guerra punica quando nelle sue acque i Cartaginesi sconfissero la flotta romana nella Battaglia di Trapani del 249 a.C. Ma alcuni anni dopo, nel 241 a.C., Gaio Lutazio Catulo sbaragliò la flotta cartaginese nella sanguinosa battaglia delle Isole Egadi che pose fine alla guerra. I Romani così conquistarono la città, latinizzandone il nome in Drepanum.
Nella nuova suddivisione amministrativa romana, le città siciliane ricevettero un trattamento differente a seconda della loro condotta durante la guerra punica. Drepanum rientrò fra le 26 città censorie (civitates censoriae) ovvero fra quelle più pertinaci nella resistenza contro i Romani. Osteggiata dai Romani, che non le perdonarono la fedeltà a Cartagine, Trapani decadde dallo splendore in cui aveva vissuto sotto l'influenza punica: perdette il cantiere navale, non fu più centro dei traffici marittimi e commerciali e si spopolò.
Oltre che con il termine latinizzato Drepanum, il centro è attestato nei testi successivi alla prima guerra punica sia al plurale Drepana che al singolare Drepanon; il primo termine si riferisce probabilmente all'intera area geografica delle baie a forma di falce, mentre il secondo alla città vera e propria, che si doveva concentrare soltanto sulla falce più meridionale e più distante dal Monte Erice.
Dopo i Romani dominarono la città i Vandali, poi i Bizantini, ma fu nel IX secolo d.C. con gli Arabi (che la chiamarono Itràbinis, Taràbanis, Tràpanesch), e poi con i Normanni che la conquistarono nel 1077 guidati da Ruggero II, che la città raggiunse un fervido sviluppo, florida nei commerci e nelle attività culturali, e il porto ebbe grande fermento anche grazie alle crociate. Il porto di Trapani durante il Medioevo fu uno dei più importanti del Mediterraneo: aveva infatti ottenuto, a partire dal 1097 sotto il dominio normanno di Ruggero, una franchigia importantissima che gli consentiva di essere praticamente una porta per l'Oriente, data la sua preziosissima posizione geografica. In quel periodo tutte le più potenti città marinare (Genova, Pisa, Venezia, Amalfi) avevano un consolato nel porto trapanese e, specialmente con le prime due, Trapani aveva l'accordo per fungere da scalo verso i loro possedimenti nell'Africa settentrionale. Dopo un breve periodo sotto gli Angioini, Trapani partecipò attivamente alla sollevazione dei Vespri siciliani, e passò nel 1282 agli Aragonesi. Durante il XIV e il XV secolo la città si ingrandì e divenne il centro economicamente e politicamente più importante della Sicilia occidentale. Nel 1535 Carlo V, di ritorno dalla vittoria contro i pirati barbareschi, soggiornò a Trapani e vi insediò un Senato: la città si era ormai talmente affermata nello scacchiere geopolitico dell'epoca da meritare dallo stesso Carlo V l'appellativo di "Chiave del Regno" e di "Invittissima" [Drepanum Civitas Invictissima in qua Caesar primunt juravit]. Nel XVII secolo Trapani conobbe un periodo di decadenza soprattutto a causa delle insurrezioni dovute a carestie [quale quella del 1647 e del 1670-1673] e pestilenze del 1624. Il XVIII secolo vide raddoppiare la popolazione trapanese che passò da circa 16.000 a 25.000 abitanti favorendo così il completamento di aree non edificate e la trasformazione urbanistica degli antichi quartieri. Il commercio rimase in vita solo grazie alla ricchezza derivante dalla produzione locale, dal momento che la città da tempo non si trovava più al centro dei traffici marittimi che dal Mediterraneo si erano spostati definitivamente verso l'Atlantico. Trapani restava importante dal punto di vista militare per la sua posizione geografica nel sistema difensivo del regno.

Dai Borboni al Fascismo

Dopo le brevi parentesi sabauda (1713) e austriaca (1720), dalla seconda metà del Settecento inizia il Regno borbonico con il Regno delle due Sicilie (1738), che continuerà fino al 1860. I Borboni procedettero alla bonifica di alcune aree della città e al suo sviluppo urbanistico. In questo periodo i trapanesi si dedicano al commercio e all'industria. Fiorente è l'attività marinara, così come le industrie del sale e le tonnare. Dopo una poco rilevante partecipazione alla sollevazione del 1820, Trapani partecipò attivamente invece ai moti del 1848-1849, sanguinosamente repressi. Liberata nel maggio del 1860 dai garibaldini sbarcati a Marsala, si pronunciò con il plebiscito per il Regno d'Italia. Il 5 giugno 1881 fu inaugurata la linea ferroviaria Palermo-Trapani con i suoi 195 km, ma passando per Mazara del Vallo e Marsala, quasi il doppio del percorso, e solo nel 1937 sarà realizzata la linea diretta.  Alla fine dell'Ottocento, Trapani perse la qualifica di piazza d'armi: la cinta muraria fu quasi interamente abbattuta e si procedette allo sviluppo urbano verso est secondo i nuovi canoni razionalisti dell'architettura contemporanea. Dopo la Prima guerra mondiale (durante la quale Trapani ebbe circa 700 caduti [1]), la città visse la sua piccola belle époque: una intraprendente borghesia urbana si rese protagonista di uno sviluppo non indifferente: le industrie legate alle saline, alle tonnare, al vino, all'olio fecero di Trapani una città particolarmente dinamica non solo dal punto di vista economico ma anche culturale. Diversi e prestigiosi edifici in stile liberty (la Casina delle Palme) e, con il fascismo, neoclassico (Palazzo delle Poste, Palazzo dei Mutilati, Palazzo D'Alì; ecc.) fecero la loro comparsa tra gli anni venti e gli anni trenta del Novecento. Nel 1924, dopo una sua visita in città, Mussolini (che fu insignito della cittadinanza onoraria) decise di inviare a Trapani il prefetto Cesare Mori che, dopo poco più di un anno, fu trasferito a Palermo con poteri straordinari per la repressione del fenomeno mafioso. Fu bombardata sia dai francesi nel giugno 1940, sia dagli angloamericani nel 1943, e subì la distruzione dell'intero quartiere storico di San Pietro. Ben ventotto furono le incursioni aeree che devastarono la città, collocandola al nono posto dei capoluoghi di provincia italiani bombardati. Il 22 luglio 1943 le truppe alleate di Patton giunsero nella piazza di Trapani trovando una città stremata. Dopo l'occupazione si segnalarono alcuni episodi di sabotaggio contro gli Alleati che emisero alcune condanne a morte verso giovani fascisti, tra cui il futuro parlamentare missino Dino Grammatico, successivamente tramutate in oltre un anno di carcere.

Età contemporanea

Nel referendum del 1946, Trapani si schierò, unico capoluogo di provincia siciliano, in maggioranza per la Repubblica. Tra il 1950 e il 1965 vi fu una lenta ripresa delle attività industriali e commerciali, ma la città non si risollevò mai del tutto dalla crisi dell'immediato dopoguerra ripiegando anonimamente nel terziario e nelle attività connesse al suo ruolo politico e amministrativo di capoluogo di provincia. Il terremoto della Valle del Belice del gennaio del 1968 provocò morte e dolore anche nella città di Trapani. Altri lutti con l'alluvione del 1965 e con quella del 5 novembre 1976 che provocò 16 morti, finché negli anni ottanta fu completato un canale di gronda ai piedi del Monte Erice. Con gli anni novanta la città si propone con più convinzione rispetto al passato come meta di interesse turistico, storico, culturale e sportivo attraverso piani di riqualificazione del centro storico, la realizzazione di nuove infrastrutture urbane, l'incremento di attività ricettive, di ristorazione e di intrattenimento, e con una più spiccata attenzione alla valorizzazione del suo ingente patrimonio storico, architettonico e naturalistico. Negli ultimi anni la città ha assunto anche una connotazione internazionale con eventi di indubbia importanza sia culturale, come le mostre su Caravaggio, su Leonardo Da Vinci[1] e del Crocifisso Ritrovato di Michelangelo, sia sportivo con alcune delle fasi della America's Cup.

Simboli

" Di rosso, al ponte di tre archi, l'ultimo incompleto, sostenente cinque torri, delle quali la seconda più alta, il tutto di oro, murato di nero, posto sopra un mare fluttuoso di azzurro e di argento, e sormontato da una falce d'oro, posta in fascia, con la impugnatura a destra e la punta rivolta verso la punta dello scudo. Blasonatura rosso granata " (Decreto dell'11 agosto 1928) Lo stemma della Città di Trapani ne racconta la storia attraverso una simbologia specifica. Le cinque torri rappresentano le prime cinque torri che difendevano il nucleo della città: la Torre Pali, oggi scomparsa, che si trovava nel rione Casalicchio (San Pietro); la Torre Vecchia, incorporata nell'ex Palazzo Carosio all'angolo tra via Carosio e via delle Arti; la Torre di Porta Oscura che si trova dove oggi si erge la Torre dell'Orologio del Palazzo Cavarretta; la Torre del Castello di Terra, il maggiore presidio dell'antica cinta muraria visibile ancora oggi alle spalle degli uffici della questura; la Torre Peliade o del Castello di Mare detta anche "Colombaia" situata ancora oggi sull'isolotto omonimo all'imboccatura del porto. Gli archi che reggono le cinque torri possono essere interpretati in due modi: rappresentazione delle antiche porte di accesso alla città oppure rappresentazione dell'antico acquedotto che collegava il centro urbano alle sorgenti di campagna lungo il tratto di strada che prende oggi il nome di via Archi. La falce che sormonta le torri richiama immediatamente la forma falcata della penisola sulla quale si adagia la città di Trapani ("Drépanon" in greco vuol dire falce).

Onorificenze

La città di Trapani è la XIV tra le 27 città decorate con Medaglia d'Oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale" per le azioni patriottiche compiute dalla città nel periodo del Risorgimento. L'onorificenza fu assegnata nel 1898 dal re Umberto I. Il 31 dicembre 1961 Trapani è stata insignita dal Presidente della Repubblica Antonio Segni della Medaglia d'oro al valor civile per le numerose vittime subite nel corso dei bombardamenti degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale.

Medaglia alle Città Benemerite del Risorgimento Nazionale

"In ricompensa della parte presa da quella cittadinanza agli episodi gloriosi del 1848. Trapani, che aveva già partecipato ai moti di Sicilia del 1820, fu una tra le prime città dell'isola a sollevarsi nuovamente, nel gennaio 1848."

Medaglia d'oro al valor civile

"Oggetto di continui bombardamenti, resisteva impavida alla furia nemica, offrendo alla Patria l'olocausto di seimila dei suoi figli migliori. 1940 - 1945".